E’ stata una giornata interamente dedicata alla caccia, alla cultura ed alla formazione venatoria quella tenutasi nella sede della Federcaccia provinciale di Rieti sabato scorso, 12 settembre, fortemente voluta e organizzata dal presidente Fiorenzo Panfilo con la collaborazione del consiglio direttivo e con il valido supporto di Federcaccia Lazio.
Al centro dell’iniziativa uno dei selvatici che maggiormente influenzano le scelte e le decisioni, anche politiche, relative al mondo venatorio italiano e reatino: il Cinghiale.
A parlarne è venuta la dottoressa Giorgia Romeo dell’Ufficio Fauna Stanziale di Federcaccia nazionale. La zoologa, che vanta già una lunga esperienza nel ramo della fauna selvatica, ha ottenuto l’attenzione dei numerosi presenti per l’intera durata della giornata formativa.
Dalla morfologia del cinghiale alle sue abitudini alimentari, dalle cause principali della sua espansione demografica fino alla corretta gestione venatoria per il contenimento della specie, soprattutto in chiave danni alle colture, durante la mattinata la dottoressa Romeo ha affrontato l’argomento a 360 gradi, spesso interagendo con gli interventi – molti – della platea.
Interessante, in ottica gestionale e venatoria, notare come in Toscana, ad esempio, il numero minimo dei partecipanti ad una braccata (tipica battuta di caccia al cinghiale effettuata mediante l’ausilio dei cani da seguita) sia di 18 unità, numero che in Umbria sale ulteriormente fino a 25: nel Lazio, al contrario, sette cacciatori possono già tabellare un’intera zona boschiva e sciogliere i segugi, il che rende praticamente impossibile gestire il cinghiale e, oltretutto, sottrae molto territorio agli altri cacciatori e agli utenti del bosco di diversa natura. La speranza è che almeno gli Atc di Rieti possano intervenire per cambiare il regolamento specifico della caccia al cinghiale.
Molto seguita, a cavallo della pausa pranzo, anche la lezione inerente il recupero dell’ungulato ferito mediante il cane da traccia, pratica molto ben radicata nelle regioni del nord e centro-nord, ma ancora semisconosciuta nel Lazio, dove malgrado una presenza massiccia di caprioli non è ancora partita la caccia di selezione.
E’ importante tener presente il fatto che sono numerosi i capi feriti, anche durante una battuta al cinghiale, che se ne vanno a morire chissà dove senza che il cacciatore si sia reso conto del loro ferimento: disporre di un buon recuperatore, munito di cane da traccia (bavarese e hannoveriano sono le razze più utilizzate), consente di recuperare il capo colpito, porre fine alle sue sofferenze in breve tempo e non mandarne sprecate le carni, con tutti i rischi sanitari che ciò comporterebbe. Una cultura venatoria che, nel Lazio, ancora manca, e che Federcaccia vuole si affermi entro tempi ragionevolmente brevi.
Infine, nel pomeriggio la dottoressa Romeo ha catturato ampiamente l’attenzione dei molti presenti con un tema caro a tutti i cacciatori: necessità, convenienza e problematiche dei ripopolamenti. Le tecniche più idonee, quelle maggiormente compatibili con il territorio, la qualità degli animali da utilizzare e come preambientarli: tutto il capitolo dedicato ai ripopolamenti, trattato con estrema competenza dall’esperta dell’Ufficio Fauna Stanziale Fidc, ha letteralmente spiazzato gli “alunni”, che hanno interagito a lungo con domande e osservazioni.
Come in Italia esistono 60 milioni di commissari tecnici della nazionale di calcio, così nel mondo venatorio ciascuno, purtroppo, a volte si sente “arrivato” e tuttologo: ma la realtà è che bisogna studiare, e aggiornarsi di continuo, se si vogliono ottenere risultati validi in un’ottica di biodiversità e gestione corretta dei soldi dei cacciatori.
Rieti, 16 settembre 2015
Ufficio Stampa Federcaccia Lazio