Un’ultima giornata di caccia ricca di passione, un giorno pieno di nostalgia e ricordi. La caccia è anche questo, godere dell’attesa della prossima stagione assaporando fino all’ultimo le emozioni di un anno che va a concludersi
«Carlo!»; il richiamo arriva dalla baita appena superata: è Fabio che, all’abbaiare dei segugi svegliati dal mio setter, si è affacciato a vedere. «Vieni! Son pronte le burole per festeggiar la chiusura della caccia». Oggi è l’ultimo giorno per inseguire la lepre e il pomeriggio è fatto di sole. Nel piccolo locale il fuoco del camino sa di buono e il Miro versa sul tavolo le castagne cotte alla fiamma. Un bicchiere di vino dolce è già pronto per me. Mi fan festa: c’è Michele e Dego e Roberto. Hanno unito le due squadre dopo l’ultima cacciata a Mascedo e le bottiglie vuote sulla mensola dicono che l’amicizia è ben più salda della competizione del tempo di caccia.
Mi trovo spesso, in questi ultimi giorni, a incrociare i loro cani nella zona quest’anno preferita dalle beccacce. Anche al mattino, risalivo la valle, alla ferma del cane faceva da sottofondo sonoro il battere allegro dei segugi su in alto tra le rocce del Costone. La beccaccia è volata lunga, coperta da un folto di ontani; intravistala tra i rami, ho buttato invano una fucilata; due volte è partita primadell’arrivo del cane, e la ferma, a far battere il cuore veloce, si è risolta in un nulla di fatto. Poi, nonostante la ricerca a tappeto, non si è più lasciata trovare.
Mi sono incamminato in un lungo giro a rivedere forse per l’ultima volta della stagione i luoghi più cari della mia valle: dove ho preso le prime beccacce, son cinquant’anni, col ricordo della gran contentezza così vivo che pare il tempo non sia trascorso; allora era Kiti, il setter famoso dello «Sbir», a insegnarmi le prime malizie. Dicono che domani verrà la neve e col freddo che già ghiaccia il terreno è facile che sia chiusura anche per questa mia caccia. Kimi, il mio giovane setter, quest’anno caccia da esperto e mi fa gioire con azioni di grande bravura; in alto non hanno aperto la caccia a galli e coturne per il cattivo risultato delle covate, ma col cane si poteva andare e le belle azioni vissute insieme han tolto l’amaro di rinunciare dopo più di cinquant’anni all’aperture in quota. Anche oggi ha fatto passare terreno con grande impegno e passione; non abbiamo trovato più nulla e la speranza di ritrovare la beccaccia levata mi ha spinto al ritorno sui luoghi del mattino.
Alla baita di Fabio il racconto degli avvenimenti della stagione si accavalla all’allegria del momento con battute e risate
Fabio, che cacciava da solo, ha trovato compagni stranieri al paese e questo è già un grande avvenimento. Per la verità, a quanto ho sentito raccontare, il primo incontro è stato uno scontro, con la povera lepre uccisa e contesa. Poi però anche i «foresti», cacciati dai luoghi dove già altre squadre rivendicavano il diritto a «mollare i segugi», e peregrini per tutto il comprensorio di caccia, hanno trovato casa proprio a Mascedo. Amicizia e simpatia, nella passione comune della caccia, han creato il legame alla squadra. Oggi son già scesi in città al richiamo di belle fanciulle, ma nei giorni passati li ho incontrati sui sentieri della montagna e mi rincresce non aver l’occasione di chiedere dei loro luoghi di origine e della caccia che facevano là, nel meridione d’Italia. Il discorso di Fabio divaga sul cambiar dei rapporti con quelli che un tempo si dicevano «terroni» e faceva spavento alla popolazione della nostra montagna il pensiero di un legame in famiglia; oggi son gente di noi e quel ruolo l’han preso immigrati dell’Est o col bianco, lungo vestito: invano cerco di dire che è l’uomo, il singolo individuo e non l’appartenenza a un gruppo che fa la persona e ricordo i tanti del nostro Paese, disperati dalla grande miseria dei primi del Novecento, che sono andati lontani. Ma non è giorno di pensieri profondi; vino e allegria riportano al discorso di caccia.
Al mattino hanno mosso la lepre ma è salita su in alto; sembra che le belle abitudini di un tempo, seguendo i sentieri e tornando al luogo di scovo, siano ormai perse dagli animali di oggi; e poi ci sono i caprioli, qui numerosi, che rubano i cani alla muta portandoli in luoghi lontani. Fino a sera ad aspettare il ritorno. Il cane di Dego ritorna sempre a Cainallo, dove quest’anno hanno preso tante lepri, e bisogna salire lassù a recuperarlo. I discorsi divagano e rivanno ai momenti più belli della stagione. «Ieri ho visto la lepre, nella valle di Vigna, al casello grande dell’acqua – ho parlato senza dare importanza – e il cane ha fermato lo scovo; la lepre mi è passata vicina, ma non sparo a quel che non mi compete!». Lo scoppio di voci a chiedere meglio si intreccia e accavalla. Roberto e Michele son già pronti ad andare a vedere se il tramonto del giorno e della stagione può riservare gradita sorpresa. «Un momento. Sono i posti del Rico, ha la baita lì vicino, conosce bene la lepre e l’ha lasciata per l’anno venturo». Mi preoccupa scatenare una guerra tra squadre. «Oggi è l’ultimo giorno e non ci sono territori riservati». Ci lasciamo, e già legano i cani al guinzaglio, con una stretta di mano e l’invito cordiale per la mangiata di lepri la settimana che viene.
Mi piace cacciare da solo, col mio cane. È il modo più bello per vivere questa passione che non vuole finire, questo amore profondo per i tuoi posti, visti e rivisti, eppur ancora così pieni di fascino; per sentirti vivo e frizzante coi pensieri che corrono liberi e tutti i sensi sempre in tensione. Un tempo gli amici, che si accompagnavano a me nei giri sul monte, di rado venivano due volte, protestando per il troppo cammino percorso. Oggi son io che temo il confronto. Sta bene così, a gustare con maggior calma il buono che ancora ci viene da posti lasciati a se stessi, di cui la natura si appropria di nuovo, in un ritorno di selvaggio disordine. Scendo di nuovo alla valle. Il sole al tramonto tinge di rosso le cime imbiancate di neve e il contrasto è violento con l’ombra ed il freddo dei luoghi che vado a passare.
Il cane ha ripreso la cerca; con calma va a vedere i posti che più si prestano allo stare della beccaccia e ragiono che «bravo», per lui, vuol dire anche «capace di accumulare esperienze». Ho passato ormai gli angoli migliori del bosco: gli faccio segno di attraversare ancora la valle; salta il torrente e si blocca contorto a ridosso di un argine ricco d’ontani. È bello il mio cane quando con l’occhio che gira ti guarda a dire che è qui, che devi venire, che t’aspetta per vivere insieme quel colpo che porta alla gioia del possesso. Il rimpianto vien dopo, quando il cane ti mette sulla mano quel corpo ancora caldo di un animale prezioso che hai tolto al bosco e che non potrà più darti il dono dell’attesa. Ma la gioia rimane a lungo e riscalda il ricordo per i giorni futuri.