La ditta Paganini di Torino si è ben preparata il terreno commerciale per le canne lisce: come noto, almeno qui da noi, il mercato dei fucili a pallini nel classico calibro 12 langue e non poco mentre qualcosa si muove nei piccoli intesi come 28/70 e .410 Mag. Soprattutto nel primo si riscontra un buon interesse, forse perché la dimensione leggermente maggiore della cartuccia infonde all’acquirente più fiducia di cogliere il bersaglio; per entrambi comunque si ha un’ampia disponibilità di cariche in armeria. Fatto sta ed è che in giro la richiesta di un due canne in calibro 28 è discretamente marcata, pur sottostando a quella penuria di denaro di cui facciamo a meno di parlare. L’idea corrente, anche se vagamente sottaciuta e non espressa in modo palmare, rimane che per un fucile di tale calibro non si vogliono spendere cifre elevate, come se la manifattura funzionasse a misura delle camere di cartuccia e della sezione d’anima delle canne.
Il rimedio, o meglio la composizione tecnico monetaria della vicenda, si trova proprio alla Paganini che, oramai son molti anni, importa in Italia e distribuisce i fucili della Yildiz: “mamma li turchi!” si diceva un tempo con aria di timore e di forte apprensione… oggi possiamo ben affermare ben vengano aziende turche come la Yildiz di Burdur che offrono prodotti con un corretto rapporto qualità e prezzo, anzi diremmo quasi sbilanciato a favore dell’acquirente che si ritrova fra le mani un fucile lavorato secondo le regole, con materiali perfettamente adeguati allo scopo, sovente con legni ben più che decorosi, visto e considerato come proprio la Turchia sia una delle zone di origine del noce da impiegare per le calciature. Abbiamo così a disposizione un valido sovrapposto che, contrariamente al nostro usuale modo di procedere, presentiamo con immagini raccolte durante una prova sul campo cui faremo seguire prossimamente la presentazione statica e ancora una tornata al piattello.
Una prova sul campo
L’elemento scatenante di quel che stiamo per proporre si è rivelato nella curiosità del caro amico Mark, cacciatore a tutto tondo che non disdegna passare dal 7 Rem. Mag. o dal .375 H.H. (secondo le zone e i selvatici) alla canna liscia insidiando i germani reali, su uno dei torrenti dell’alto Piemonte, o gli stupendi forcelli delle sue montagne. Anche per lui il calibro 28 era un tarlo che andava cavato dal suo buco, messo a fuoco e valutato per bene. Combiniamo un’uscita a quaglie presso la Tenuta Bonicelli dove Lorenzo Verra ci ha quasi adottati: Mark giustamente allarga il giro ad Andrea, cacciatore delle Valli tra Susa, Sangone e Moncenisio a cui andrà il compito di porre in campo il suo bravo setter Frick a cui si accoda la giovanissima Mia, femminuccia di nove mesi detta “L’ammore di papà”; sempre dalla Val Sangone cala sulle colline del Roero anche Paolo, sodale di Andrea, e poi arriva pure nostro figlio Mario con Pau, la sua labrador marrone. Johnny, recente factotum dell’azienda faunistica, predispone la dozzina di quaglie e sceglie il terreno in cui poterci esibire, un medicaio con vegetazione già di altezza discreta e prato costellato dai soffioni del tarassaco in cui le piccole volatrici sono a loro agio spostandosi di pedina leste e invisibili come topi prima che il cane le blocchi.
Premettiamo per gli attenti osservatori che in questo periodo la Tenuta Bonicelli non effettua attività venatoria, ma addestramento cani con sparo, per cui non è previsto l’impiego dei gilet arancioni.
Nelle more della cosiddetta semina, effettuata ratealmente a tre soggetti alla volta per prender fiato, o meglio ciarlare amabilmente fra una tornata e l’altra, l’Yildiz passa di mano in mano mentre a noi tocca la Nikon per documentare quanto avverrà; per integrare la batteria abbiamo tolto dalla rastrelliera anche quello che negli Anni 50 era il fucile da quaglie per antonomasia e parimenti il fucile per ogni occasione adatto alle leggiadre cacciatrici del tempo: una doppietta Beretta a cani esterni, degli anni poco sopra citati, nell’ormai rarissimo calibro 24. Il sovrapposto della Yildiz ha la finitura tutta nera che conferisce un che di professionale e piace molto a tutti; ugualmente è apprezzata la maneggevolezza che, grazie al peso assai ridotto, non viene minimamente inficiata dalle canne lunghe ben 76 cm: oggi a molti tale dimensione pare eccessiva, perché la rapportano a quel che utilizzano sul calibro 12, mentre nel calibro 28 somma alcuni elementi tutti favorevoli.
In primo luogo viene l’estetica, fattore preminente non appena si approccia un fucile, cui seguono la ridotta sezione e la cospicua estensione creando un favorevole connubio: confessiamo che a noi tale misura piace oltremodo e quindi ne parliamo con entusiasmo, ma ugualmente sottoponendo la questione agli altri cinque della comitiva raduniamo solo pareri favorevoli. La bindella superiore ventilata e le due intermedie, anch’esse con asole di alleggerimento e ventilazione, fanno un bel vedere per gli astanti, specie quando in punteria la luce del sole attraversa le trabeazioni alleggerendo visivamente le masse. Considerando le ipotetiche distanze di tiro e le cartucce da impiegare abbiamo inserito gli strozzatori 4 stelle e 2 stelle: dall’1 al 5 sono tutti disponibili insieme alla pratica chiave di montaggio. La disponibilità di cartucce è un poco limitata considerando che la situazione faunistica contingente ha visto sparire dagli allevamenti starne, rosse e fagiani e ci si deve focalizzare solo sulle quaglie: le belle cartucce del 5 e del 6 della Remington e della Eley inviate dalla Paganini sono rimaste nel cassetto in attesa di tempi migliori. Sono venute buone le Fiocchi del 7½ e le tante rimaste con Pb del 12 caricate da un’armeria di Provaglio di Iseo (BS), di cui avevamo scorta fin troppo previdente decenni fa quando era praticabile la caccia al capanno.
Di mano in mano
Il sovrapposto gira di mano in mano e i cani lavorano proprio bene, grazie anche alla leggera umidità, residuo della frescura notturna: si segue con occhio quieto e sicuro il lavoro del setter mentre conviene mantenersi in movimento restando ben all’erta con la cerca della labrador che ha anch’essa un naso formidabile. Mentre con il setter si ha tutto il tempo e il modo di avvicinarsi alla ferma insistendo poi perché la quaglia lasci il nascondiglio involandosi, con la labrador si devono tener sotto controllo il pelo della schiena, le mosse e la postura delle orecchie che, una volta imparate, danno al cacciatore l’allerta per avvicinarsi: la cagnina non dà molto tempo, quel che basta tuttavia per essere pronti alla partenza della preda insidiata. Diremo che la gran parte dei tiri sono stati di prima canna e con una corretta tempistica favorita dal peso leggero del fucile pronto alla spalla in maniera formidabile: i minuscoli pallini del 12 si rivelano letali senza mai rovinare la preda e senza antipatici ferimenti; nei pochi recuperi di seconda i 7½ non lasciano scampo anche a distanze marcate. I recuperi sono appannaggio della labrador che però ha ancora il brutto vizio di masticare un po’ la piccola selvaggina: occorre quindi intimarle di mollare la presa rapidamente per conservare la fruibilità culinaria della pregevole carne.
Al termine della tenzone l’amico Mark esibisce pane fresco (acquistato alle 06.30 del 25 aprile) una sapida toma a media stagionatura e, gran raffinatezza, una frittata di luppolo che solleva gli entusiasmi degli astanti, tutto messo a dimora con una bottiglia di Nebiolo Superiore dei Roeri. Così i commenti sul fucile e sulla resa del calibro 28 si dipanano in scioltezza e verità: tutti molto soddisfatti del piccolo grande sovrapposto Yildiz e dell’esperienza con le piccole cartucce e del loro minuscolo carico da 19 g per i pallini del 12 e i più autorevoli 24 g per le Fiocchi del 7½.
Insomma tutti si sono detti disponibili a ripetere a breve l’esperimento e già abbiamo avuto chiamate da altri amici per far parte del prossimo giro.