Il disastro ambientale avvenuto in questi giorni presso Valle Mandriole (nota in zona come Valle della Canna) con la morte di numerose migliaia di uccelli acquatici a causa del propagarsi del batterio Botulino C, non è altro che l’ennesima di dimostrazione di un disastro ambientale ampiamente annunciato e la riconferma di quanto importante sia gestire il territorio e l’ecosistema con conoscenza e competenza. Fino a quando Valle della Canna era gestita in sinergia tra i cacciatori, i pescatori e gli enti locali, la Valle della Canna era un vero e proprio paradiso terrestre. Il suo stesso nome “Valle della Canna” descriveva un ambiente umido di rara bellezza che ospitava una notevole quantità di uccelli acquatici ed una patrimonio di biodiversità di rara bellezza.
Cosa resta oggi di Valle della Canna dopo che è stata sottratta all’attività venatoria per effetto dell’imposizione di vincoli frutto della parcomania e privata della gestione faunistica assicurata nei secoli da persone appassionate e competenti? La canna palustre è quasi totalmente scomparsa per effetto della mancata ossigenazione e del mancato ricambio delle acque, causa principale anche della intossicazione da Botulino C che ha causato lo sterminio di numerose migliaia di uccelli acquatici. Il disastro ambientale di Valle della Canna dovrebbe insegnare a distinguere quali possano essere gli effetti della gestione oculata, del territorio in generale e delle zone umide in particolare, da parte dei cacciatori, dei pescatori e della componente non integralista del mondo ambientalista, distante anni luce dalla mentalità di chi ritiene che per tutelare l’ambiente basti vietare la caccia, la pesca e le attività antropiche storicamente esercitate nel nostro territorio. La demagogia e l’ideologia animal-ambientalista ha creato e continua a creare danni irreparabili all’ecosistema.
Certo, a qualcuno interessa maggiormente creare carrozzoni mangiasoldi come i parchi e limitarsi a garantire compensi ai componenti dell’ente gestore dell’area protetta e ad imporre vincoli e divieti nel nome di quell’animal-ambientalismo che ritiene che proteggere significhi solo vietare e conservare significhi solo imbalsamare il territorio e metterlo sotto una campana di vetro. Qualcuno dovrebbe capire che conservazione e protezione devono essere coniugate alla parola “gestione” e che la tutela dell’ecosistema deve essere affidata a persone competenti che si sono laureate alla scuola della vita ed hanno acquisito quel sapere che non si trova solo sui libri ma che si acquisisce soprattutto attraverso secoli di esperienze che si tramandano di generazione in generazione. Gli animal-ambientalisti in buona fede (ammesso che ne esistano) facciano un bagno di umiltà ed imparino dall’ennesimo disastro ambientale di Valle della Canna e vadano a vedere come vengono gestiti i territori in generale e le zone umide in particolare da parte dei cacciatori, dei pescatori e dei portatori della Cultura rurale. Vadano a documentarsi su quali sono gli effetti della corretta gestione faunistica e degli habitat naturali. Dove questi ambienti vengono gestiti gratuitamente e senza finanziamenti pubblici da persone appassionate e competenti, l’immagine che si può constatare continua ad essere quella di veri e propri paradisi terrestri, anche dal punto di vista faunistico, oltre che ambientale. Dove questi ambienti vengono affidati a coloro che sono pervasi dalla mentalità animal-ambientalista, spesso finanziati con ingenti quantità di risorse pubbliche, i disastri ambientali si ripetono con sistematica periodicità.
Possibile che nel nostro Paese si preferisca continuare a dilapidare quantità enormi di risorse pubbliche per garantire qualche poltrona a qualche politico trombato o a qualche animal-ambientalista privo di altra stabile occupazione?
Possibile che non si voglia fare tesoro dell’esperienza e della competenza di chi garantisce, gratuitamente e senza costi per la collettività, la manutenzione e la salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema?
Speriamo che i rappresentanti delle istituzioni rinsaviscano presto e tornino ad affidare la gestione del territorio e dell’ecosistema a chi è ambientalista per convinzione e necessità e non per moda o per convenienza.
L’ambientalismo non deve essere solo predicato ma deve essere soprattutto praticato.
Nessuno più dei cacciatori, dei pescatori, dei portatori della Cultura rurale può essere definito ambientalista perché queste categorie sanno perfettamente che dalla qualità dell’ambiente in cui vivono non dipende solo il futuro delle loro attività plurisecolari ma dipende anche la loro salute e quella dei loro figli.
Loro su quei territori ci vivono quotidianamente e non si limitano ad andarci una volta all’anno per scattare qualche fotografia o per farci una gita domenicale lasciando sul territorio i loro rifiuti.
Sergio Berlato
Presidente nazionale della Confederazione delle Associazioni Venatorie Italiane
Presidente nazionale Associazione per la difesa e la promozione della Cultura Rurale.