“La strage di uccelli acquatici causata del botulino nella Valle della Canna è un esempio lampante di quello che andiamo dicendo da anni, inascoltati: per troppi gestire la natura e l’ambiente significa solo sottrarre zone ai fruitori tradizionali, cacciatori, pescatori, raccoglitori di erbe palustri o altro. Proprio quelli che per secoli ne hanno garantito invece la salute e la prosperità, mantenendole in equilibrio, intervenendo quando e dove necessario e soprattutto sapendo bene come farlo”. Così il presidente nazionale di Federcaccia Massimo Buconi ha commentato quanto accaduto in provincia di Ravenna, dove la mancata esecuzione di interventi idraulici nella zona protetta della Valle della Canna (Valle Mandriole) ha causato una vera e propria moria di avifauna acquatica, malgrado non fossero mancate per tempo le segnalazioni, anche da parte dei cacciatori, che la situazione nella zona era critica.
Di alcuni anni fa l’offerta, rifiutata dal Comune di Ravenna, di prendere in mano come ATC-Federcaccia la gestione della valle. Chissà se oggi la riflessione avrebbe un altro esito. E invece proprio i cacciatori, sin dal primo momento, sono accorsi, rimuovendo le carcasse degli uccelli acquatici morti e portando al Centro Recupero Avifauna quelli ancora vivi colpiti dal botulino. Da soli o allertati dalle proprie associazioni venatorie sono stati loro ad affiancare gli agenti della Polizia locale addetti alla vigilanza delle zone naturali e i responsabili del servizio Ambiente del Comune. Lontani dalle telecamere dei TG, che ovviamente si sono guardati bene dallo spiegare chi erano quegli uomini genericamente definiti “volontari”, hanno lavorato senza sosta per cercare di portare aiuto a una natura ancora una volta ferita non certo dalla loro passione.
“A tutti loro va il mio grazie. Come presidente di Federcaccia, di cittadino e di cacciatore. Ancora una volta, senza aspettarsi niente in cambio, hanno dimostrato di cosa è fatta la passione che ci muove. Adesso, verrebbe da dire ‘oltre al danno, la beffa’, si sta pensando di chiudere temporaneamente l’attività venatoria per un perimetro di 3 chilometri dalla valle per non spingere, questa la motivazione addotta, altri animali nella zona infetta. Inutile dire che per più motivi, dal punto di vista biologico e scientifico è una sciocchezza alla quale ci stiamo già opponendo con i nostri uffici tecnici. Quando si smetterà di pensare di risolvere chiudendo la caccia? Questo bruttissimo episodio serva piuttosto a riaprire una riflessione sulla gestione di molte aree protette. Sono tantissime nel nostro Paese quelle messe sotto una campana, credendo con due cartelli di divieto di caccia di aver protetto l’ambiente. I risultati sono dentro quei sacchi neri pieni di uccelli morti”.