Occorre essere pronti ad accogliere e a educare i “migranti” alle problematiche di gestione del territorio e, nel nostro specifico, alla gestione faunistica, alla predazione tra le specie selvatiche e al ruolo insostituibile dell’uomo nell’assicurare equilibrio e convivenza tra le specie. Come per tutto il volontariato, occorre separare la giusta passione popolare dei cacciatori e delle loro tradizioni venatorie che fanno e faranno capo agli Atc, dagli interventi di controllo faunistico che non possono che avere come riferimento l’intero territorio agro-silvo-pastorale regionale così da tenere a “giusta distanza” dai centri urbani gli ungulati, oggi in particolare la specie cinghiale, che può trasmettere contagi pericolosi per altre specie, rischi per la sicurezza stradale e ingenti danni all’agricoltura.
Le proposte Le carni dei capi prelevati andranno indirizzate a centri di raccolta con lo scopo di valorizzarne l’uso per un mercato sano e di qualità. Percorso di valorizzazione a fini alimentari già avviato dalla Fondazione Una, alla quale aderiscono anche le associazioni venatorie nazionali FIdC, Enalcaccia, Arci Caccia, Cncn che ha permesso alcune iniziative sperimentate in altre Regioni, non appropriatamente divulgate per le contraddizioni di altre associazioni venatorie che, alla prospettiva di un ruolo qualificato, affidato anche a cacciatori, preferiscono la lotta delle tessere per la sopravvivenza.
Qui e ora l’Arci Caccia dell’Umbria ritiene che la sintesi dei contenuti che riproponiamo e sono da tempo in “sonno” in archivi polverosi, abbiano bisogno di essere concretizzati. Saranno temi che rilanceremo anche nel nostro congresso perché diventino patrimonio del mondo venatorio che dovrà superare logiche integraliste e corporative che hanno già perso e stanno estinguendo i cacciatori e la loro funzione sociale (Il Presidente Regionale di Arci Caccia Umbria, Emanuele Bennati).