Caprioli 21.301, cervi 10.153, lepri comuni 13.993, merli 165.505, volpi 1.941: questi sono solo alcuni dei numeri riferiti agli abbattimenti di selvatici avvenuti in Trentino nel periodo fra il 2014 e il 2018. Cinque anni durante i quali le carabine trentine hanno colpito un numero impressionante di animali. Complessivamente, fra uccelli e mammiferi, nel 2018 sono stati abbattuti 84.787 esemplari. Nei due anni precedenti era andata pure peggio: 149.663 nel 2017 e 130.378 nel 2016. Per molte associazioni ambientaliste e per alcuni esponenti politici questa rappresenta una ferita aperta. In questi giorni la consigliera provinciale dei Verdi, Lucia Coppola, ha criticato la scelta della Provincia (a trazione leghista) di concedere il nulla osta per l’abbattimento di un migliaio di cornacchie e circa 500 ghiandaie, due specie ritenute nocive per l’agricoltura.
“Giustamente Coppola si lamenta per questi nuovi abbattimenti – afferma Filippo Degasperi di Onda Civica – ma quando al governo c’era il Centrosinistra autonomista le cose non andavano meglio”. Il consigliere provinciale di Onda Civica, tramite un’istanza di accesso agli atti, era riuscito a farsi consegnare i dati sugli abbattimenti che vanno dal 2014 al 2018. Oltre alle specie già citate si contano anche: 14.311 camosci, 1.389 cinghiali, 1.376 mufloni, 23.057 esemplari di beccaccia, 87.166 di cesena, 1.275 galli forcello, 659 fra cornacchie grigie e nere (dato che si riferisce a cinque anni, mentre nel 2021 si è arrivati a 1.000), 15.988 fagiani, 19.121 ghiandaie (nel 2021 si parla di 500), e 216.238 tordi (fra bottaccio e sassello). “Questi sono i numeri di un saccheggio – punta il dito Degasperi – perpetrato ai danni della fauna trentina, magari con andamenti alterni ma di questo si tratta.
Di fatto quello che dovrebbe essere un patrimonio di tutti viene privatizzato e questo avviene da anni, destra o sinistra non fa differenza. Il dramma è che la maggior parte dei cittadini, per non parlare dei turisti ai quali viene venduta un’immagine idilliaca del Trentino ‘green’, sono ignari di tutto questo”. Di fronte a questi numeri fanno un po’ sorridere le dichiarazioni, riportate sulle colonne de “L’Adige”, di Giuliano Andreatta, rettore della sezione comunale cacciatori di Pergine, che si lamenta di come i lupi starebbero “intaccando la fauna locale – dicendosi preoccupato perché – nella nostra riserva anche ad aprile sono stati rinvenuti degli esemplari di capriolo sbranati, con tanti danni anche ad altre specie locali come lepri e conigli selvatici”. Ora, tralasciando il fatto che i lupi sono carnivori e come tali si cibano prevalentemente di selvaggina non si capisce perché se ad abbattere un capriolo è un cacciatore questo non sia un danno mentre se lo fa un lupo sì.
Queste affermazioni fanno il paio con il cacciatore che durante un incontro dedicato ai lupi organizzato ad Ala, foto alla mano, si diceva impressionato alla vista di un carcassa sbranata da un lupo, quando, da che mondo è mondo, sparare, eviscerare e squartare un ungulato per recuperarne carne e trofei non dev’essere un’operazione per deboli di stomaco. Questo per dire che di fronte ai numeri degli abbattimenti, forse, sono proprio i lupi quelli che meglio possono regolare gli equilibri dell’ecosistema, fermo restando che ciò non esclude per forza la presenza e l’attività dei cacciatori (tranne quando vengono sollevate argomentazioni pretestuose). “La politica di palazzo – conclude Degasperi – spaccia qualunque animale per nocivo, mentre ascoltando certe dichiarazioni sembra quasi che i trentini vivano assediati dagli animali quando forse è vero il contrario”.
Sul tema sollevato dal rettore della sezione cacciatori di Pergine si potrebbe perfino citare l’assessore all’agricoltura, caccia e pesca Giulia Zanotelli che, rispondendo al collega di maggioranza Leonardi (Forza Italia) che chiedeva quali fossero le azioni intraprese per tutelare la fauna autoctona “tanto duramente colpita dal maltempo e dalla predazione dei grandi carnivori”, spiegava: nessuna. “I rigori dell’inverno – ha sottolineato Zanotelli – anche quando eccezionali, non costituiscono un fattore di pericolo per le popolazioni animali, semmai un fattore di regolazione delle stesse. Analogo discorso vale per quanto riguarda i predatori naturali. Per questo motivo non è stato necessario prevedere, su scala provinciale, interventi particolari di sostegno alla fauna” (Il Dolomiti).