Le proposte delle Associazioni Venatorie della Toscana Federcaccia, Arcicaccia e Italcaccia
La Toscana è andata avanti: la scelta di confrontarsi sui temi della caccia sulla base di studi e dati oggettivi, scienza e conoscenza, ha consentito di approvare nuove norme condivise che costituiscono un passo importante per l’ambiente, per la biodiversità, per la gestione faunistica, per la caccia e per l’agricoltura.
Questo risultato ha avuto due protagonisti essenziali: una politica interessata, attenta e concludente, un’associazionismo venatorio attento e propositivo che, partendo dai buoni risultati e dal buon clima generato dalla gestione del territorio realizzata in questi anni con il concorso determinante delle organizzazioni agricole e con la collaborazione delle associazioni ambientaliste, ha saputo guardare al futuro.
Le scriventi Associazioni valutano negativamente lo stato della discussione attorno alla modifica della 157. Il confronto politico si muove tra annunci roboanti e inconcludenti e palesi contraddizioni da una parte e uno strumentale e sterile emendamentismo dall’altro. Questa rinuncia della politica al proprio mestiere, ad affrontare un tema che divide le coscienze ed agita passioni, con prudenza e serietà, trasforma il confronto in contesa, irrigidisce le posizioni, esaspera i toni, esalta la presunzione di verità annichilisce ogni volontà di confronto; la frantumazione delle posizioni tra le Associazioni venatorie, tra queste e gli altri protagonisti della gestione faunistica, gli agricoltori e gli ambientalisti è evidente sempre più profonda e sconsolante.
Tutti oggi, non tutti ieri, riconoscono la bontà della legge 157/92, di quella grande riforma che introducendo il principio della caccia programmata, del governo attivo della gestione del territorio compartecipata dalle parti sociali, con l’obiettivo della conservazione della fauna e della sostenibilità del prelievo venatorio realizzò un positivo e lungimirante compromesso politico nella composizione equilibrata di interessi contrastanti e delle diverse esigenze in campo. Questo documento vuol essere, prima di tutto un richiamo alle forze politiche, una sollecitazione a guardare al futuro, a recuperare la capacità di ascolto, a riconoscere il valore della mediazione quando il frutto sia l’interesse generale, come la tutela dell’ambiente e della fauna, la salvaguardia della biodiversità, la positiva risposta a legittime passioni che la società esprime pur in condizioni ambientali, culturali, sociali ed economiche profondamente cambiate, l’armonico governo di questa materia tra le diverse competenze istituzionali.
A 18 anni dalla 157 è convinzione diffusa che debbano essere scienza e conoscenza le direttrici sulle quali procedere per migliorare la gestione della fauna e la sostenibilità della caccia; l’esperienza suggerisce molti adeguamenti, aggiustamenti e modifiche conseguenti al mutato contesto sociale, ambientale, delle competenze istituzionali e delle politiche gestionali, indipendentemente da una difforme, ed in alcuni casi insufficiente, applicazione.
I punti essenziali appaiono:
1) Rendere esplicita, in armonia con il titolo V della Costituzione, la competenza delle Regioni nella gestione della fauna selvatica e nella disciplina dell’attività venatoria. L’esercizio di tale competenza implica autonomia nelle procedure della programmazione e responsabilità delle scelte. In questo contesto devono essere modificate le funzioni dell’Ispra, con il potenziamento e la qualificazione dell’Istituto nell’attività di ricerca e monitoraggio mirata a fornire conoscenze, parametri e dati utili alle scelte di gestione.
2) Realizzazione di una effettiva governance nazionale della materia che realizzi un più stretto raccordo tra Stato e Regioni. Il Comitato tecnico faunistico venatorio non ha mai – per struttura, composizione e compiti – assolto a questa funzione. Occorre un organo di collegamento e coordinamento, supportato da adeguata organizzazione, che costituisca punto di riferimento, verifica, elaborazione di proposte.
3) Unitarietà della gestione del territorio recuperando rapidamente il coordinamento dei programmi e delle gestioni, superando il dualismo fra aree vietate alla caccia e rimanente territorio. Serve una innovazione decisa in tal senso, che apra ad un ruolo nuovo che il mondo venatorio può svolgere anche compartecipando alla gestione di aree che, fermo il divieto di caccia, trarrebbero da interventi di prelievo selettivo e specificamente regolato benefici per la biodiversità e per la funzione complessiva sul territorio.
4) Adeguamento del sistema degli accessi e della mobilità venatoria per garantire condizioni eque e non discriminatorie per l’accesso agli ATC, per scongiurare regionalismi e municipalismi e condizionare gli accessi esclusivamente a criteri razionali di sostenibilità. Governare inoltre la mobilità giornaliera regolata e controllata fra diverse regioni, estendendo a livello nazionale criteri e meccanismi ampiamente sperimentati fra alcune regioni, per la migratoria, nel corso degli anni. In un sistema fondato sulla centralità della gestione e della sostenibilità della pressione e del prelievo venatorio l’opzione della forma di caccia può essere eliminata.
5) Il recepimento e l’applicazione delle direttive comunitarie e dei documenti ad esse connessi (Key concepts, Guida interpretativa della 79/49, etc) non può che essere organico e compiuto, costituendo ciò garanzia per un prelievo ecologicamente corretto, rispettoso della biologia dele singole specie e della necessità di conservazione delle popolazioni selvatiche. Prioritario, anche a questi fini, è attuare un programma di ricerca che permetta di acquisire dati specificamente raccolti, scientificamente validati e dunque unanimemente condivisi, sulla fenologia migratoria delle specie. Il calendario venatorio nella legge nazionale non può che tradursi in un articolato “elastico” che, attestandosi per la definizione di tempi e specie di caccia sui dati e criteri comunitari, sia predisposto per gli aggiornamenti conseguenti all’evoluzione delle evidenze scientifiche.
6) La legge 157 è finanziata dai cacciatori, nonostante la legge assegni alla gestione faunistica e venatoria connotati di interesse generale con un ruolo rilevante ai fini di tutela, salvaguarda e ripristino di valori naturalistici ed ambientali. Un adeguamento delle disposizioni dovrà prevedere sia l’obbligo delle Regioni di destinare integralmente al settore i proventi delle tasse regionali, sia la destinazione dei proventi delle tasse di concessione governativa: 50% alle Regioni secondo il disposto della L. 388/2000 (legge finanziaria 2001) ed i principi del federalismo fiscale; adeguate percentuali per il finanziamento prioritario della ricerca scientifica.
Riprendere oggi, un confronto serio e produttivo è una richiesta che rivolgiamo alle forze politiche
ed alle Associazioni venatorie nazionali.
La nostra proposta:
a) raccogliere ed affermare l’esigenza di riforma su quei punti fondamentali ed essenziali, sui
quali definire un documento da condividere iin modo chiaro e responsabile;
b) azzerare, sulla base di un impegno politico esplicito tra maggioranza e minoranze ogni percorso in atto sulla materia – sia di carattere estemporaneo come l’art. 38 della comunitaria sia organico come i progetti giacenti alle Camere – e ripartire, in Parlamento, con una bozza di proposta condivisa.
Un percorso di questo genere comporta rinunce ma apre nuovi scenari e postula risultati concreti.
Comporta rinuncia di tutti all’orgoglio di presumere verità e sollecita un impegno paziente ed intelligente a conoscere verità. comporta rinuncia di molti a rivendicare i propri diritti reali o presunti ed impegno a proporre nell’interesse generale; disponibilità a discutere ed ascoltare fra tutti con il rispetto delle opinioni e l’ambizione di conciliarle nell’interesse generale. E’ quello che abbiamo fatto in Toscana. Una Regione dove il “governo” effettivo dei mutamenti economici, sociali, culturali venatori che hanno contraddistinto questi decenni ha consentito di evitare sul territorio l’impoverimento ambientale e faunistico e nella società consolidato l’immagine della caccia come parte viva d’una cultura rurale i cui valori affondano le radici nella storia e dimostrano di guardare verso il futuro.
Ciò perché il mondo venatorio è da tempo consapevole che una caccia sostenibile può essere riconosciuta oggi solo se è percepito come utile a finalità di interesse generale, come la tutela dell’ambiente e della fauna, la salvaguardia della biodiversità. Non è dunque presunzione, ma l’esperienza concreta che ci spinge oggi a questa iniziativa, che vuol essere più di un semplice appello, uno stimolo, una sollecitazione all’iniziativa, una richiesta di assunzione di responsabilità. Avviare dunque un percorso coraggioso e innovativo che, isolando gli opposti estremismi e l’impatto deleterio del loro fare e dire sull’opinione pubblica, contribuisca a rendere più moderna la legislazione, più incisiva la gestione ambientale e faunistica, più forte e coerente l’impegno sul territorio delle componenti venatorie agricole e ambientaliste.