In risposta all’articolo uscito quest’oggi sul Corriere della Sera relativo alla morte del cane della scrittrice Susanna Tamaro, dove sono esplicitamente indicati i cacciatori come i colpevoli di aver sparso bocconi avvelenati, il presidente nazionale di Federcaccia Dall’Olio ha scritto al direttore Fontana:
Egregio Direttore,
pur abituato alle semplificazioni e agli assolutismi ormai tipici di un certo modo di fare giornalismo, non Le nascondo la sorpresa non scevra di sconcerto provata questa mattina nel leggere il quotidiano da Lei diretto. Pur conscio del fatto che anche il “Corriere della Sera” non è rimasto immune dallo strizzare l’occhio a quella parte dei suoi lettori se non proprio animalista quantomeno molto sensibile ai rapporti con gli animali, specialmente da compagnia, mi aspettavo da quello che continuo a considerare uno, se non il più autorevole fra i quotidiani italiani una maggiore attenzione ed equilibrio nel riportare un fatto di cronaca.
Mi riferisco, come sicuramente avrà già immaginato, alla vicenda che ha visto protagonista la signora Tamaro e la sua cagnetta, cui il Corriere ha dedicato ampio spazio. Dal momento che, almeno a quanto riportato nell’articolo a firma della giornalista Roberta Scorranese, nessun responsabile è stato individuato per un gesto riprovevole che condanno fermamente – e non perché si tratta di un cane di un personaggio noto – leggere già dal titolo che i colpevoli sono i cacciatori trovo sia una accusa vuota, infondata e volutamente volta a diffamare una intera categoria di persone. Poco conta che l’articolo attacchi aggiungendo un “probabilmente” a quella secca dichiarazione, così come che nel corso dell’intervista la scrittrice dichiari che “Io non criminalizzo la caccia, anzi.
Sono amica di molti cacciatori e so che la maggior parte di essi ama la natura”. Il messaggio trasmesso è chiaro. Chiaro, ma falso. Nello specifico perché la signora Tamaro non può sapere chi ha messo quei bocconi nel bosco, così come non può saperlo la sua cronista. In generale perché i cacciatori non sono usi a queste pratiche, che sarebbero oltretutto autolesioniste. O veramente si pensa che i cacciatori siano così sciocchi da mettere veleno per allontanare possibili concorrenti a 4 gambe per poi portare proprio in quella zona i propri cani? E chi sarebbe allora ad avvelenare i parchi pubblici e i giardini cittadini, fatti di cui molto più spesso si legge sulle cronache? Egregio Direttore, il rapporto fra un cacciatore e il suo compagno di caccia è molto più stretto di quello che si può immaginare. Il cane da caccia non è solo un ausilio allo svolgimento di una pratica, uno “strumento” al pari del fucile. È un compagno fidato, un amico cui ci lega affetto e attenzione, una parte della famiglia che spesso vive in casa con noi.
Una delle paure più grandi per un cacciatore è proprio incorrere in quanto accaduto alla signora Tamaro. Perché sono proprio i cacciatori le prime vittime di questa orrenda pratica che nulla ha a che fare con l’attività venatoria. Come si può pensare che giunga a fare lo stesso? Il dolore provato dalla signora Tamaro – alla quale sono umanamente vicino, mi creda – è comprensibile da ogni appassionato. Quello che non è comprensibile né scusabile è il suo puntare il dito nella ricerca di un “facile” colpevole. Mi aspetto, fiducioso, che per la serietà del quotidiano da Lei diretto e il rispetto dovuto e che meritano oltre 700mila cittadini osservanti delle leggi, voglia dare spazio a queste mia replica, invitando la sua giornalista ad applicare la prossima volta che si troverà ad affrontare simili argomenti un pizzico in più di attenzione prima di lanciare accuse senza avere prove. Lo chiede la deontologia professionale, ma anche la serietà e il rispetto del lettore. Cacciatore o meno che sia.