Da oltre quarant’anni si sono susseguiti e intensificati – per la verità, in questi ultimi tempi si sono alquanto sopiti – studi, convegni, relazioni sulla situazione dello stambecco in Italia ed in Europa; nel frattempo ( anni 60) si sono verificati fenomeni di reinserimento spontaneo in Alto Adige, dalle limitrofe Svizzera ed Austria; sono seguite intense operazioni di restoking e di reintroduzioni in varie parti dell’arco alpino, alcune con effetto positivo immediato (come in Piemonte, Valle d’Aosta e sulle Alpi Giulie), altre invece con difficoltà iniziali di ambientamento (“ risultato negativo!”, commentava Rolando Bier a seguito del primo tentativo di immissione nelle montagne pordenonesi).
Alla situazione “buona” delle varie colonie, che si era venuta formando nel tempo, si aggiunse il “regalo” di uno stock di 40 animali a varie montagne italiane da parte della Svizzera, riconoscente per aver l’Italia salvaguardato la specie anche in periodi estremamente pericolosi (basti pensare alle due guerre mondiali) e per farsi perdonare lo scippo/bracconaggio di piccoli di stambecco in Val d’Aosta, che ha dato origine all’attuale patrimonio stambecco svizzero.
Per quanto riguarda l’Italia, la consistenza (Fonte :Tosi-Pedrotti- Ispra) offre una specie fuori pericolo di estinzione; le colonie di stambecco sono numerose e omogeneamente distribuite.
Il Gruppo di lavoro ( costituito nel 2009 dalla Provincia di Sondrio con il fior fiore di “scienziati”, coordinati da Tosi e Pedrotti), ha prodotto un piano di conservazione, diffusione e gestione dello stambecco sull’arco alpino italiano, prevedendo “la possibilità di una fruizione venatoria, subordinandola, ovviamente alla messa in atto di ben precise imprescindibili condizioni tecnico/scientifiche”.
Sappiamo che la battaglia è dura. In Alto Adige, nel 1988 effettuarono i primi prelievi, in forza della specialità della Provincia autonoma (50 capi a fronte di una consistenza stimata di 700 capi).
Motivazione? “ Nei branchi vi sono individui maturi, vecchi e ultra vecchi, al punto che è logico e lecito prelevare ciò che altrimenti andrebbe perso”. Inoltre “ la possibilità di prelievo mantiene vivo l’interesse verso una specie, ne garantisce il controllo e quindi le consente di prosperare!” (Stocker, Presidente ACAA 2001 in “La gestione degli ungulati” UNCZA 2005 ).Tutta la letteratura e le ricerche scientifiche sinora consultabili concordano con la possibilità della gestione venatoria dello stambecco. Concorde è anche il parere dell’ISPRA (allora INFS) sin dal 1991, parere scritto a firma Prof.Mario Spagnesi, che ne fissava il periodo di prelievo tra il primo settembre ed il quindici dicembre (“Bramito incluso!”, quindi). Concorde il parere, espresso in più occasioni, del Dr.Marco Giacometti, del “Wildvet Project –Ziegelried CH, grande esperto nella gestione dello stambecco in Svizzera, e del Dr. Paider Ratti, Ispettore Forestale del Cantone dei Grigioni: ”Le popolazioni di stambecco, una volta radicate sul territorio, hanno in sé la virtù per moltiplicarsi: è il territorio che rimane sempre lo stesso, per cui è necessaria una gestione venatoria!”