Chi ha a che fare giornalmente con un segugio lo sa: l’istinto è qualcosa che non si spiega, in grado però di fare la differenza.
C’è da dirlo fin da subito: molti dei nostri segugi, brillanti, capaci, in grado di tenere la traccia in maniera esemplare hanno perso buona dose del proprio istinto. Tutta colpa della selezione cui sono stati sottoposti, e dell’addestramento che li indirizza verso la carriera venatoria. Eppure di tanto in tanto, inaspettato, l’atavico istinto salta fuori e il cacciatore che non si può spiegare in alcun modo il comportamento del proprio segugio può giustificare la situazione esclusivamente parlando di istinto, o di sesto senso.
L’istinto è qualcosa di antico, primitivo, quasi ancestrale e ci racconta di quando il segugio che abbiamo accanto era un infallibile predatore, mosso dalla sua indole e più spesso dalla fame e dalla necessità di sopravvivere.
Ma quando possiamo parlare di istinto? Ecco alcune condizioni che inevitabilmente chiamano in ballo questo talento che appartiene ancora a qualche brillante segugio.
A quale passata dedicarsi. I segugi particolarmente bravi nello scovo e nella seguita (i talenti più istintivi che ci siano) spesso sembra operino una vera e propria selezione fra le passate a cui dedicarsi.
Capita delle volte che pur essendo palesemente presente una traccia olfattiva scelgano di non seguirla dopo una brevissima perlustrazione. Ti è mai capitato? Il cacciatore normalmente fa solo una cosa: insiste cercando di convincere il segugio sulla bontà della traccia. E’ probabile che il cane sia in grado di stabilire in modo efficace e rapido se una passata valga di essere seguita oppure è meglio abbandonarla, tutto in nome di quell’antico talento che oggi chiamiamo istinto.
In tutti questi casi e in molti altri è probabilmente quel talento antico a parlare, una sorta di sesto senso venatorio che può dare spiegazione a molti dei comportamenti dei nostri segugi, che spesso non capiamo ma che sarebbe bene accettare senza troppe domande.