Dopo un anno dall’impugnativa predisposta dal Governo (dietro sollecitazione delle Associazioni animaliste), la Corte Costituzionale, con sentenza del 4 dicembre 2019, ha dichiarato infondata la questione di legittimità sulla legge della Regione Marche del 7 novembre 2018 che ha permesso ai cacciatori l’annotazione dei capi abbattuti di selvaggina migratoria ad abbattimento accertato. L’art. 2 di tale legge ha infatti disposto che “Il cacciatore deve annotare, negli appositi spazi del tesserino personale, il numero di capi di selvaggina stanziale e migratoria dopo gli abbattimenti accertati”.
Secondo la Corte tale disposizione non invade la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (non c’è violazione dell’art. 117 della Costituzione, ovvero la legge non entra in contrasto con la normativa nazionale – legge 157/92). I giudici precisano che il concetto di abbattimento utilizzato dal comma 12-bis dell’art. 12 della legge n. 157/92 si riferisce evidentemente solo all’avvenuta uccisione del capo di fauna selvatica, conformemente al significato che tale termine assume nel più generale sistema della medesima legge, anche perché è l’unico rispondente all’esigenza di conseguire dati certi sulla reale entità della popolazione faunistica.
“Ciò premesso – si legge ancora nella sentenza – va altresì chiarito che se l’abbattimento ben può essere percepito contestualmente all’atto di caccia, tuttavia in tutti gli altri casi di mancata evidenza la sua verifica potrebbe richiedere un accertamento dell’effettiva uccisione del capo di fauna che il cacciatore dovrà comunque effettuare – è opportuno precisarlo – immediatamente dopo avere sparato. Così interpretata, dunque – conclude la Corte Costituzionale –, la norma impugnata non collide con quella statale, la quale è sì incentrata sulla massima tempestività dell’annotazione, ma pur sempre in relazione a un evento effettivamente realizzatosi, coerentemente con la sopra evidenziata finalità di consentire un monitoraggio basato su dati genuini circa la consistenza della popolazione faunistica”.
Secondo la Consulta, dunque, alla luce delle finalità di acquisire informazioni affidabili, non si può ritenere che la norma statale obblighi ad annotare eventi incerti “con l’effetto paradossale, peraltro contraddittorio rispetto alla finalità di tutela della fauna selvatica, di fornire dati solo ipotetici in merito alla sua composizione”. A questo punto ci si chiede perché, ancora una volta, il Ministro dell’Ambiente continui ad infrangere i provvedimenti regionali che sono di palmare evidenza nel rispetto delle stesse norme nazionali ed europee. Ormai bisogna ribattere, punto su punto, a questo comportamento come recentemente è avvenuto per la Lombardia in merito al rifornimento dei richiami vivi.