Possiamo affermare che gli ultimi sessant’anni sono stati per l’Italia, o almeno per una parte cospicua di essa, un periodo di marcata evoluzione del settore venatorio dove si è passati da ristretti ambiti territoriali alpini in cui si cacciava il camoscio, alla Maremma regno del cinghiale, a tutto il rimanente territorio dove le canne lisce dominavano insidiando la stanziale con i cani e la migratoria con un’arte individuale a cui solo l’insipienza stolida e ottusa di certe leggi ha potuto quasi mettere fine. Chi non ha mai frequentato un roccolo o comunque un appostamento delle terre alte della Lombardia, oppure una botte nelle valli del Veneto, dell’Emilia, della Puglia o le sommità delle querce nelle Marche e nell’Umbria in attesa dei roscioli ha perso situazioni che incidono fortemente nell’animo umano.
Ci si può parzialmente rifare con le letture dei classici a tema e con buoni filmati oggi ampiamente disponibili. Negli ultimi decenni lo sviluppo degli ungulati non solo su tutto l’arco alpino, ma ugualmente in moltissime altre zone vocate a capriolo, cervo, muflone, daino ha creato una diffusione intensa e marcata della caccia a palla con numeri interessanti per le vendite di canne rigate. Il cappello di apertura serve a introdurre un tipo di fucile che per molti anni è stato patrimonio della Mitteleuropa con epigoni della caratura di Merkel, di Sauer e di Franz Sodia, solo per citare una triade conosciuta da tutti gli appassionati.
Questo fucile è il billing e l’abbinamento solitamente avviene sulla base di un sovrapposto con canna inferiore rigata e superiore liscia: fa parte della più vasta congerie dei cosiddetti fucili misti dove due, tre e quattro canne si sommano per consentire al cacciatore di montagna di portare a spalla una sola arma disponendo tuttavia di colpi differenti per le diverse opportunità venatorie che si possono palesare salendo verso la meta più prestigiosa: le praterie d’alta quota dove sta il camoscio o quella non certo molto da meno rappresentata dai boschi misti di conifere e latifoglie dove insistono il cervo e il capriolo. La strada è lunga e magari, ben prima di giungere nei punti dove si sbinocola per individuare l’ungulato a cui indirizzare il colpo della canna rigata, ecco attraversare il sentiero una bella volpe a cui una sostanziosa cartuccia del 12 con pallini del 5 o del 4 non la si nega proprio: la pelliccia fa sempre la sua bella figura e per la carne c’è modo anche di servirla in tavola. Non dimentichiamo che l’economia delle zone montane prima del turismo di massa era votata ai parchi consumi e all’etica del non si butta via niente.
L’impianto tecnico
Tenute e chiusure si basano sull’impianto che è divenuto usuale per molti fabbricanti della zona tanto che correntemente è chiamato “gardonese”: si compone di una bascula a fianchi alti e spianati il cui spessore rappresenta le due parti della tavola, ricavata per forgiatura a caldo da un massello di acciaio legato e lavorato su macchine CNC. Internamente si osserva la cerniera sdoppiata, i semiperni con rinforzi a prisma, il rialzo mediano sotto a cui scorre la slitta di armamento delle batterie, la faccia con i fori dei percussori e, in basso il tassello di chiusura comandato dalla chiave. A tali componenti si unisce il gruppo canne con giunzione a monobloc: proprio da questo solido elemento si ricavano gli orecchioni per l’aggancio ai semiperni e i due tenoni posteriori affiancati che insistono con i loro fianchi sull’interno delle pareti di bascula mentre la loro parte inferiore alloggia nelle mortise ricavate nel dorso e il profilo anteriore si pone contro il rilievo mediano contrastando l’avanzamento delle canne sotto sparo; la coppia di rotazione che si genera viene inibita dal tassello sporgente dalla faccia e inserito negli scassi praticati sul retro dei tenoni. Nello spessore del massello, alla mezzeria della canna superiore, si ricavano i semipiani e, in apposite guide sempre ricavate nei fianchi del monobloc, scorrono i gambi dell’estrattore dotati di un rilievo per il contrasto con la sporgenza ricavata all’interno della bascula, vicino ai semiperni, attuandone il movimento mentre dalla parte opposta si trovano gli occhiali di presa.
Le canne, gli scatti e la calciatura
Le canne in acciaio al cromo molibdeno lunghe 60 cm sono forate tradizionalmente per il liscio, rotomartellate a freddo per il rigato: quella liscia può essere in calibro 12/76 o 20/76 e la strozzatura fissa è pari a *** (M = Media). Viene montata una bindella piena, sopraelevata nel primo terzo in cui è inserita la tacca di mira a scomparsa e sono previsti i fori filettati per il montaggio delle basi di un’ottica; la stessa prosegue bassa per rialzarsi verso la volata formando lo zoccolo di supporto del mirino a grano con visuale tonda in ottone. Gli scatti prevedono i due grilletti con sgancio diretto oppure, nel modello Forest STE, con stecher alla francese sul primo; la sicura è la classica con tastino a slitta montato sulla codetta superiore, dietro alla chiave di apertura. La calciatura in noce scelto vede linee all’italiana, senza sconfinamenti di gusto germanico: abbiamo così l’impugnatura a pistola, il nasello sottile e il dorso lineare di conveniente spessore per un comodo appoggio della guancia; l’asta a coda di castoro, di ampia sezione, consente un sicuro brandeggio nel tiro in movimento come un solido appoggio in quello a fermo. La zigrinatura manuale offre una presa adeguata anche con mani bagnate e la finitura a olio garantisce impermeabilità e un caratteristico aspetto semiopaco. Magliette portacinghia a perno riportato e calciolo in bachelite nera completano la necessaria dotazione.
I calibri proposti e i pesi
Diamo un accenno ai calibri segnalando l’abbinamento liscio/rigato. Con il liscio in 12/76 si possono avere: 7x57R, 7x65R, 8x57IRS, 9,3x74R, 6,5×55 SE, .30-06 Sprg., .308 Win. mentre con il 20/76 sono proposti il .22 Hornet e il .222 Rem. I pesi sono rispettivamente di 3,4 e 3,2 kg. Da buoni cultori delle cartucce tedesche a collarino per i basculanti osserviamo come la spinta commerciale odierna abbia fatto preferire il 6,5×55 SM al 6,5x57R o al prestante 6,5x65R; nei piccoli calibri, dopo un riverente omaggio al sempre verde .22 Hornet, vedremo bene, magari a fianco del .222 Rem. il validissimo 5,6x50R DWM ampiamente diffuso, o il meno diffuso, ma tosto assai 5,6x57R della RWS. Poi, per tornare con i piedi per terra, provate a pensare quale selvatico delle nostre zone potrebbe sfuggirvi con un 7x65R.
La ricetta per cucinare la volpe
Le tre Valli di Lanzo sono situate poco a nord della Val di Susa e ben al di sotto della Val d’Aosta: non hanno sbocchi stradali verso la Francia e sono quindi scartate dal turismo di massa. Questa limitazione ha favorito il mantenimento di tradizioni nei modi di fare e nel costruire, salvo penose eccezioni che deturpano i graziosi paesi, venute su con il boom economico degli Anni 60: tolte queste si osservano ancora tante magistrali costruzioni in pietra e nei paesi più in quota villette graziose dei torinesi che, tra fine 800 e prima metà del 900 apprezzavano questi ambiti. La cucina, come sempre, è un elemento qualificante del territorio e della gente che vi abita: a molti pensar di cibarsi d’una volpe muove un senso di ripulsa, ma anche questo selvatico merita, in tempi di ristrettezze, un decoro culinario con la gratitudine verso Madre Natura. Qualcosa ci dice che siamo arrivati al giro di boa e stiamo ripercorrendo in senso inverso la strada conosciuta.