“Sembrerebbe – scrive ancora Grassi – che tutto abbia avuto origine da una nota inviata dalla Prefettura di Rimini ad alcuni Comuni; con tale nota si invitava a prendere provvedimenti in quelle aree di competenza interessate da ‘piste ciclabili’, a causa di presunta criticità di pubblica incolumità e pubblica sicurezza connesse all’esercizio della caccia in forma vagante”. E ancora: “Di colpo sembra che il cacciatore (…) sia divenuto il primo tra i pericoli che possono turbare l’ordine pubblico. È vero che Rimini era una delle Province in Regione con il più alto indice di densità venatoria ma è anche altrettanto vero che nell’ultimo ventennio i cacciatori si sono numericamente dimezzati”.
Quindi: se questi divieti non c’erano quando cacciatori erano 7mila, perché imporli ora quando sono ridotti a poco più di 3 mila? Inoltre gli Ambiti Territoriali di Caccia della Provincia di Rimini “non sono mai stati interpellati né tanto meno mai informati di quelle situazioni di pericolo alle quali si fa riferimento, praticamente esclusi da ogni decisione e consultazione”. Invece “si stanno calpestando tutte le norme ed i principi previsti dalla normativa nazionale e regionale in materia di pianificazione faunistico-venatoria”. Ma degli aspetti legali si occuperà il TAR di Bologna, compreso il quesito se l’ordinanza comunale sia uno strumento legittimo in questa materia.