Il Ministero dell’Interno ha avuto nuovamente la peggio in un processo di primo grado, al termine del ricorso presentato da un carabiniere in pensione. L’istanza è stata ufficializzata dopo la revoca della licenza di caccia, un provvedimento viziato dall’assenza di una istruttoria approfondita e corretta e dalla mancanza di motivazione. Il Tribunale Amministrativo Regionale di Napoli ha dato ragione all’uomo.
In effetti, la revoca era stata motivata con una vecchia denuncia per detenzione abusiva di munizioni e con il fatto che l’ex militare non aveva prodotto gli scritti difensivi a sua discolpa. Per i giudici, però, queste due motivazioni non reggono. La revoca del porto d’armi a uso caccia deve contenere sempre una valutazione sulla personalità del cacciatore, in modo da giustificare l’esigenza cautelare.
Questo vuol dire che il pericolo legato all’utilizzo delle armi deve essere concreto, al termine di una istruttoria solida e consentendo al diretto interessato di partecipare alla causa amministrativa. Tra l’altro, il procedimento penale era stato parzialmente archiviato nel corso della causa. Il TAR napoletano ha valutato l’assenza della reale motivazione che, insieme alla carenza nell’istruttoria, rappresenta un valido elemento per presentare ricorso.