Lupi in Lessinia: Boitani, dell’università La Sapienza: «Sbagliato parlare di reintroduzione solo in Veneto, il piano dovrebbe essere condiviso fra più Paesi».
Pienone, nella sala civica di Sant’Anna d’Alfaedo, al convegno organizzato dal gruppo locale del Movimento cinque stelle e moderato da Silvana Belladelli sul «Lupo in Lessinia – Come stanno le cose e cosa si può fare». Al tavolo dei relatori si sono seduti due pezzi grossi del settore: Luigi Boitani, docente di zoologia dei vertebrati all’Università La Sapienza di Roma, uno dei massimi esperti di lupi a livello internazionale (famosa la sua opera «Dalla parte del lupo», dove il grande predatore viene descritto sotto l’aspetto scientifico e storico-mitologico) e Sonia Calderola, veterinaria della sezione Caccia e pesca della Regione Veneto, nonché responsabile del progetto Life WolfAlps proprio per il Veneto.
Il contributo di Boitani è stato utile per demolire timori ma anche alcuni tabù riguardo al lupo; per trattare l’argomento in termini scientifici, alla larga da strumentalizzazioni politiche; per capire pure che alcuni presidi di prevenzione offerti dalla Regione sono da ripensare: «Lasciate perdere i dissuasori acustici», ha detto Boitani, «non servono a nulla né per i lupi né per i cinghiali». Alla fine, si è usciti dall’incontro con la consapevolezza che il lupo fa paura e danni soprattutto dove regnano disinformazione e impreparazione nei suoi confronti. Pochi degli allevatori presenti all’incontro, per esempio, erano già a conoscenza della struttura di un branco, del suo ciclo vitale e del territorio di caccia: nozioni di base indispensabili, ha spiegato Boitani.
«In Lessinia i lupi hanno trovato una pacchia, qui c’è molto cibo a facile portata. E questo è un problema. Perché va bene la reintroduzione, ma deve essere conciliabile con le attività umane», ha esordito l’esperto, guadagnandosi subito l’attenzione del pubblico.
«Nel 1979», ha proseguito, «mentre in Abruzzo monitoravo una popolazione di cento lupi, scrissi che per conservare al meglio questa specie si rende indispensabile, talvolta, eliminare qualche esemplare nelle zone a difficile convivenza. Il Wwf mi attaccò. Ma io non ho ancora cambiato idea. La riduzione dei lupi, quando è necessaria, non deve essere un tabù». Quindi ha spiegato che l’L’areale medio di ogni branco, a seconda della disponibilità di cibo, è di oltre 200 chilometri quadrati. «Perciò è sbagliato parlare di reintroduzione del lupo in Lessinia o in Veneto», ha continuato Boitani. «Il piano dovrebbe essere almeno interregionale. Meglio se condiviso fra più Paesi, come nel caso della collaborazione fra Piemonte e Svizzera».
«Indispensabili poi sono i monitoraggi costanti e precisi della propria popolazione di lupi», ha aggiunto. «La Francia spende ogni anno in questa attività tre milioni e 100mila euro; dispone quindi di ottimi dati, grazie a cui i biologi possono decidere se e dove ridimensionare i branchi. La Svezia possiede perfino il pedigree di ciascuno dei suoi 320 lupi e in ogni branco uno o due esemplari sono muniti di radiocollare. È impensabile fare reintroduzione senza monitoraggio. Magari l’Italia si adeguasse a questi modelli virtuosi». Il controllo serve anche a evitare le ibridazioni fra lupi e cani: un accoppiamento che produce discendenti fertili e numerosi, e che costituisce quindi un pericolo sia per la purezza della specie da conservare, sia per la quantità dei branchi.
«Basta ipocrisia», ha aggiunto l’esperto. «La verità è che ogni regione è abbandonata a se stessa. Abbiamo una legge nazionale sulle specie protette e una decina di leggi per l’indennizzo dei danni causati da specie protette. Consiglio alle Regioni di unirsi per fare pressione sul governo – la sede adatta può essere la Conferenza Stato-Regioni – per ottenere maggiori risorse, maggiore monitoraggio, il permesso di contenere i branchi quando risultino sovradimensionati rispetto al territorio. Solo così si può approntare una buona convivenza, altrimenti difficile».
«Ora so che fremete per sapere se i lupi mangiano i bambini», ha detto infine Boitani. «Qualunque favola vi abbiano raccontato, la risposta è no. Negli ultimi 200 anni non si è verificato un solo caso di attacco all’uomo. Nel parco d’Abruzzo, frequentato da due milioni di visitatori all’anno, sono avvenute zero aggressioni. Il terrore è atavico, ma fatevelo passare, perché non c’è pericolo né per gli adulti né per i bambini che aspettano l’autobus alla fermata». Stoccata finale alla propaganda antilupi del sindaco Flavio Tosi.
Lorenza Costantino
L’Arena.it
17.12.2014