Un obiettivo: cambiare passo, “darsi un metodo – sottolinea l’assessore all’agricoltura Marco Remaschi – in un confronto aperto e che privilegi soluzioni auspicabilmente condivise, ma che portino nei prossimi dieci mesi, da qui alla fine della legislatura, ad atti concreti”. E due dati sopra a tutti, di cui non si può non tenere conto: il primo demografico, con il calo ed invecchiamento dei cacciatori, e il secondo agronomico, con i boschi che hanno guadagnato spazio ai danni di campi abbandonati e incolti. Al Centro fiere del Madonnino di Grosseto, vetrina durante l’anno dei prodotti agricoli del territorio, è iniziata stamani e proseguirà fino a domani la Conferenza regionale sulla caccia, dieci anni dopo quella di Arezzo.
Allora la gestione dell’attività venatoria era ‘ a trazione’ provinciale: oggi, dopo il 2015, le deleghe sono tornate dalle Provincia alla Regione, che ha dovuto in questi tre anni mettere ordine tra regolamenti provinciali molto diversi gli uni dagli altri. “E’ un’occasione per fare il punto sul lavoro fatto ma per guardare soprattutto avanti – sintetizza l’assessore –. Dobbiamo confrontarci di più e trovare soluzioni condivise, con senso di responsabilità e pazienza. E in questo percorso dobbiamo tenere conto anche di chi la pensa in maniera diversa”. Le associazioni ambientaliste a Grosseto non ci sono: hanno disertato l’appuntamento. “Ma non mancheranno momenti futuri di confronto” aggiunge ancora l’assessore, che mantiene la porta aperta, pronto a sedersi attorno ad un tavolo con chi ha posizioni diverse.
Gli ungulati
Le associazioni di categoria e dei cacciatori provano a proporre i punti con cui riempire l’agenda dei prossimi mesi. C’è il piano faunistico regionale da adottare. Rimane il problema degli ungulati in sovrannumero: la Toscana ne conta più di tutte le altre regioni, almeno 420 mila, il 30 per cento di cinghiali di tutta Italia, il 40 e 45 per cento di caprioli e daini; e danneggiano spesso i campi coltivati. Va trovata una modalità di gestione che passi dall’emergenza all’ordinario. “Ce lo chiedono anche gli agricoltori, con cui il mondo venatorio deve ristabilire un rapporto più stretto” chiosa Remaschi.
La selvaggina stanziale che non c’è più
Ma non c’è solo la caccia agli ungulati. C’è quella alla piccola fauna stanziale e migratoria. La prima, un tempo tradizionale e diffusa – quella per lo più a lepre e fagiano –, oggi è quasi scomparsa. E le associazioni chiedono su questa nuova attenzione: il che vuol dire un rinnovato impegno, ad esempio, sulle zone di ripopolamento e cattura, sugli animali che predano quella selvaggina laddove in sovrannumero, sull’organizzazione anche delle guardie venatorie e della polizia provinciale che deve vigilare. Tutti temi molto concreti. La caccia non è un elemento distruttivo, rispondono i cacciatori alle critiche che arrivano dagli ambientalisti: la caccia sana e regolata aiuta a ristabilire gli equilibri e dunque è utile all’ambiente e alla gestione del territorio. Certo se si fissano delle regole, vanno poi rispettate.
Più certezze, anche dal Governo
Durante la mattina e al pomeriggio molti temi si susseguono nella grande sala rotonda del Madonnino. Si accenna al nuovo calendario venatorio, unico per tutta la Regione. Si parla del tesserino venatorio elettronico: la Toscana ha fatto da apripista, anche se ancora non è diffusissimo. Ci si sofferma anche sul commercio delle carni cacciate, che è cosa diversa dall’autoconsumo, cercando di sfatare luoghi comuni fallaci. Le associazioni chiedono certezze legislative: qualcuna anche modifiche ad una legge, nazionale, che nella sostanza è la stessa da ventisette anni. E certezze le chiede anche la Regione: “le divisioni all’interno del governo, con ministeri che la pensano spesso in modo opposto, non aiutano” dice Remaschi. Si accenna pure alle braccate al cinghiale utilizzate per il controllo faunistico, quindi al di fuori dei novanta giorni di caccia, autorizzate da una norma su cui il Tar ha disposto la sospensiva in attesa di esprimersi nel merito probabilmente a metà settembre.”Non si tratta di un’estensione del periodo dell’attività venatoria – prova a chiarire l’assessore – ma solo di un’azione di contenimento in casi ben individuati dove magari territori vocati subiscono danni alle vigne, che sono il motore trainante della nostra agricoltura. Serve flessibilità e più autonomia per la Regione”.
I numeri da non dimenticare
Ma l’agenda non può non tenere conto di due dati richiamati la mattina, durante le prime relazioni.
Il primo è demografico, per l’appunto. In ventitré anni, dal 1995 al 2018, i cacciatori toscani si sono dimezzati – da oltre 145mila sono passati a poco meno di 72 mila – e l’età media è andata ad aumentare. Sono un po’ di più nelle aree periferiche, di meno in quelle metropolitane.Ed è stato un trend costante, con quasi un terzo delle doppiette toscane (il 30%) che conta oggi tra i 60 e i 70 anni, ancora di più (il 32%) oltre settanta e appena il 7 per cento da 18 a 39 anni. Numeri che in prospettiva disegnano un possibile ulteriore dimezzamento dei cacciatori toscani, un sesto di quelli di tutta Italia, entro il 2030, quando saranno appena 35 mila. Il secondo dato riguarda l’uso del territorio: le aree boscate sono cresciute. Sono passate da 983 mila ettari a 1 milione e 209 mila dal 1985 al 2013, il 23 per cento in più, complice la specializzazione agricola (vigne e olive) e l’abbandono dei piccoli poderi promiscui. Il risultato è che gli ungulati sono aumentati. Due dati, numerici, da cui non si potrà prescindere nei prossimi mesi. Con lo scemare dei cacciatori sono diminuite anche le entrate e più complicata si è fatta la gestione degli ambiti di caccia negli anni scorsi. Ma in questo caso il periodo più complicato è già alle spalle. “Abbiamo riorganizzato il sistema e gli Atc. Negli ultimi mesi abbiamo trovato il modo anche di marciare tutti insieme, uniti – ricorda Remaschi-. Ed ora possiamo guardare avanti, ai prossimi dieci mesi, dove ci aspettano nuove grandi sfide”.