Dopo le incursioni dei cinghiali in città, adesso è l’ora dei lupi che dalla montagna sono scesi a valle fino ai centri abitati rappresentando un altro rischio per la sicurezza delle persone. Il fenomeno è stato segnalato trasversalmente un po’ in tutta l’area metropolitana di Reggio Calabria tanto che gli agricoltori parlano addirittura di «territorio sotto assedio» con conseguenze economiche gravissime per l’intero comparto. Si tratta di «numerosi branchi di lupi formati in prevalenza da cani inselvatichiti e da ibridi nati dall’unione lupo-cane che giornalmente attaccano le greggi di pecore, capre e bovini» da ingenerare tra gli allevatori «un sentimento di sfiducia e forte preoccupazione per il futuro delle proprie attività».
È il presidente dell’Associazione provinciale degli allevatori Domenico Tripodi a denunciare «la sempre più esplosiva situazione nelle campagne dove il numero di lupi e cinghiali è ormai fuori controllo costringendo gli agricoltori ad abbandonare lentamente i presidi montani e più marginali del territorio». Come non bastassero le già diverse problematiche che attanagliano gli allevatori, dal caro prezzo delle materie prime, elettricità e carburante, alle criticità attinenti la vendita del bestiame, dallo scarso valore di mercato attribuito alla carne, alle difficoltà di commercializzazione dei prodotti zootecnici. Adesso ci si mette anche l’attacco di branchi di lupi alle coltivazioni, ai terreni, al bestiame e alle proprietà. Così Tripodi ha preso carta e penna e spedito una lettera al prefetto Massimo Mariani per metterlo al corrente «dei gravissimi danni che quotidianamente gli allevatori subiscono».
La situazione dipinta è allarmante. «Gli allevatori devono gestire un carico di lavoro aumentato dal dover recintare pascoli e perfino stalle e dal seguire costantemente gli animali a stabularli durante la notte – spiega il presidente dell’Apa – Questo porta a rivoluzionare la gestione delle aziende, lavorando sulla prevenzione onerosa praticamente tutta a carico dell’allevatore. Per ciò che riguarda i risarcimenti in caso di danni, questi risultano ampiamente insufficienti, sia per l’elevato valore delle bestie presente in molte aziende sia per le normative attualmente in vigore che risultano insoddisfacenti visto che i danni vengono risarciti solo in area Parco. Inoltre dopo un attacco, per decine di giorni le bestie rimangono spaventate, non mangiano o mangiano poco e sono difficilmente gestibili sia al pascolo che in stalla». E ancora: «Le conseguenze di questi attacchi sono gravi e profonde. Questa situazione comporta la disaffezione all’agricoltura e allo spopolamento: non ce lo possiamo permettere. Il ruolo degli allevatori è fondamentale per la conservazione di ambiente, territorio e paesaggio.
Per proteggere gli animali, i pastori sono costretti a dormire con le greggi, una vita e un lavoro di grandi sacrifici che porta al progressivo abbandono degli alpeggi, dell’allevamento allo stato brado e quindi anche alla perdita del presidio del territorio garantito da coloro che dalla difesa dell’integrità dell’ambiente e dell’equilibrio dell’ecosistema traggono la propria ragione di vita e la principale fonte di reddito». Un autentico Sos quello di Tripodi, che chiede al prefetto un incontro per «porre così le basi per organizzare un tavolo tecnico con tutti gli enti interessati» al fine di «trovare una soluzione definitiva e condivisa che non si limiti ai soli terreni liberi, ma sia estesa all’intero territorio». Il primo ad accogliere il grido d’allarme degli allevatori è il presidente dell’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte, Leo Autelitano, che si dice pronto a sedersi a un tavolo tecnico interistituzionale per affrontare l’emergenza.
«L’Ente Parco – chiarisce Autelitano – non è stato istituito per tutelare i porcastri che stanno distruggendo il territorio e mettendo in pericolo greggi e coltivazioni, tantomeno per tutelare gli ibridi lupo-cane, autentico pericolo di distruzione degli armenti, nonché dell’incolumità dell’uomo. Gli Enti Parco sono stati istituiti anche con l’obiettivo di applicare misure di tutela della fauna autoctona (lupo e cinghiale) e non certo per proteggere la proliferazione di ibridi tipo il porcastro o il cane incrociato con il lupo. In tal senso la nostra attività amministrativa è incentrata su due direttive: sui porcastri, infatti, l’Ente sta portando avanti un piano di abbattimento selettivo, mentre sulla presenza degli ibridi di lupo, ho personalmente dato indirizzo politico agli uffici per procedere, traducendo in atti, le risultanze dei monitoraggi che gli Enti Parco effettuano sulla presenza del lupo» (Il Quotidiano del Sud).