Avere rapporti tesi con i parenti preclude il diritto di custodire in casa pistole o fucili. Lo ha stabilito il Tar di Brescia che ha respinto la richiesta di un cacciatore residente in alta Valcamonica contro la decisione della prefettura di non concedergli il porto d’armi. Una misura congrua per «l’evidente e incontestata situazione di elevata tensione nelle relazioni interpersonali, la cui gravità è tale da poter costituire occasione favorevole ad episodi di rabbia ed esplosioni d’ira nelle quali risulterebbe pericoloso il possesso di armi», si legge nella sentenza. Il provvedimento adottato, precisa la sentenza, «non è quindi di tipo sanzionatorio, né tantomeno punitivo, ma di natura cautelare».
Nel mese di agosto la Prefettura, sulla base della segnalazione dei carabinieri di una querela presentata da due persone a carico del ricorrente per i reati di danneggiamento e minacce, gli aveva vietato la detenzione di qualsiasi tipo di arma, ritenendo venuto meno il necessario requisito di affidabilità. Secondo il ricorrente, invece, il provvedimento si fondava su un singolo episodio di danneggiamento del vetro di un’auto, per il quale risulta solo iscritto nel registro degli indagati. La responsabilità della situazione, stando alla sua memoria difensiva, era provocata «dalla condotta ingiustificatamente vessatoria e persecutoria messa in atto nei confronti del suo nucleo familiare, esteso da ultimo anche ai suoceri, da parte di due sorelle – episodi peraltro segnalati alle forze dell’ordine, al sindaco e all’autorità giudiziaria -, e che il provvedimento era stato assunto sulla base di una denuncia-querela priva di efficacia probatoria».
E, sempre secondo il ricorrente, che aveva prodotto una serie di referenze sulla sua rettitudine morale e civile, «il provvedimento gli impedisce di andare a caccia, con ingiusta compressione dei suoi diritti». Secondo i giudici del Tar, però, «il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione di armi alle persone ritenute capaci di abusarne. Il giudizio di affidabilità è finalizzato alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, e presuppone che l’interessato osservi una condotta di vita improntata a puntuale osservanza delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile, tali da non far emergere sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma». Nel caso specifico, «la conclamata situazione di conflittualità risulta quindi idonea a sorreggere il divieto di detenere le armi, dovendo legittimamente prevalere – rispetto all’interesse del ricorrente all’uso delle armi per finalità sportive – l’esigenza cautelare di garantire l’incolumità delle persone» (Giornale di Brescia).