Correva l’anno 1948 quando incontrai un carrettiere che portava patate cereali e ortaggi dal Fucino ad Arpino.
A quei tempi non si effettuavano trasporti su gomma, ma solo su grandi carretti trainati da cavalli e muli, due o anche più per carretto, per poter superare tratti stradali rovinati dalla guerra.
Lungo questa strada che da Sora porta ad Avezzano vi erano delle locande e osterie dove i carrettieri trovavano ristoro per loro e per i cavalli.
Io ho avuto modo di conoscere le caratteristiche di queste locande, al primo piano cucina e trattoria, a piano terra una grande stalla con mangiatoia e magazzino, ben chiuso, dove i carrettieri parcheggiavano cavalli e carretti e il prezioso carico di merce per poter tranquillamente riposare.
Questo carrettiere di nome Antonio mi informò che in un paesetto abruzzese vi era molta cacciagione fra cui molte starne ed io, dopo aver raccolto tutte le informazioni necessarie, decisi di andarci con mio fratello.
A quei tempi potevamo ritenerci dei privilegiati poiché avevamo una moto tutta per noi e così la mattina seguente molto presto, caricati sulla moto due cani, uno sul serbatoio l’altro tra me e mio fratello, due fucili, due zainetti con il necessario, con tanto entusiasmo partimmo alla volta del paesetto abruzzese.
Arrivammo molto prima del previsto e ci fermammo in un angolo di una piccola piazza quasi completamente al buio. Non vi era anima viva per poter avere qualche minima informazione e poter lasciare incustodita la moto, niente di tutto questo, così affidandoci alla buona sorte ci avviammo prendendo l’unica strada che portava fuori del paese.
Dopo aver camminato abbastanza e in direzione di una cascina, unico nostro riferimento, decidemmo di fermarci con la speranza di sentire il richiamo delle starne che fra l’altro neanche conoscevamo essendo cacciatori novelli.
Mio fratello decise di proseguire e così ci separammo.
Misi il fucile e lo zainetto in terra tenendo per mano solo il guinzaglio del cane e mi sedetti su un cumulo di pietre. Era ancora notte e nei dintorni neanche una luce, una casa che mostrasse un segno di vita. Niente di tutto questo. Ad un tratto inaspettatamente mi giunse una dolce musichetta, non potevo crederci, mi strofinavo gli occhi credendo di sognare, ma la musica continuava.
Finalmente i merli, i primi a far festa all’approssimarsi del nuovo giorno, iniziarono il festoso cinguettio saltellando per terra e su piccoli rovi e questo quando era ancora notte per fermarsi alle primissime luci.
Albeggiò e cominciai subito a controllare la zona e presto notai a trecento metri circa da me due persone in attesa anche loro che facesse giorno. Mi spiegai allora da dove provenisse la musica.
Ci trovavamo a metà settembre del lontano 1948 ed io, che acquistai la prima radio solo nel 1954, anno in cui mi sposai, non pensavo che si trovassero radio portatili, ma quando capii che uno dei due cacciatori era un gran signore mi venne tutto chiaro.
Rimasi fermo ad aspettare e ad osservare ogni loro movimento e che strada prendessero. Non appena si mossero notai che uno dei due portava un grosso zaino, un fucile e due cani al guinzaglio, mentre l’altro non portava niente, mi resi conto che si trattava di un signore col suo aiutante di campo.
Mio fratello non vedendomi arrivare venne da me e, dopo averlo messo al corrente della situazione, d’accordo decidemmo di fermarci e di seguire i movimenti dei due cacciatori, pensando che ne sapessero più di noi sia per la conoscenza della zona che come abilità nel cacciare.
Rimanemmo ad osservarli per un po’ di tempo per capire in quale direzione si muovessero.
L’aiutante liberò un solo cane e dando il fucile all’altro iniziarono a cacciare.
Noi sempre attenti ad osservare.
Ad un tratto vidi frullare uno stormo di starne. Il cacciatore sparò tre colpi, ma non ne prese nessuna poiché volavano a distanza e senza lasciarsi fermare dal cane si diressero nella nostra direzione, ma noi da persone corrette non intervenimmo perché per buona regola la selvaggina spetta cacciarla a chi la scova per primo.
Cambiammo completamente zona e trovammo altre starne e, mentre ne cercavo tre furbissime, il cane per stanarle s’infilò in un campo di ginestre, quelle piantine che a fine maggio e inizio giugno si riempiono di quei fiori giallo oro per ricordare a tutti noi che si avvicina la festa più grande dell’anno il “Corpus Domini”.
Mentre il cane cercava improvvisamente vidi apparire al di sopra delle ginestre la testa di un grosso serpente che studiava i movimenti del cane.
Presi subito la mira per farlo fuori, ma trovandosi sulla stessa traiettoria del cane non mi fu possibile intervenire e così sparì tra le ginestre.
Rimasi molto male ma fiducioso che sarebbe riapparso e così fu. Dopo poco ricomparve ma neanche questa volta mi fu possibile intervenire sempre per via del cane.
Decisi subito di spostarmi e feci gran fatica ad addentrarmi tra le folte ginestre. Aspettai ancora e finalmente in una zona comoda, lontano dal cane, con una rabbiosa e perfetta fucilata gli frantumai la testa. Rimase a dibattersi a terra facendo gran fracasso.
Mi misi a cercare, trovai un vecchio ramo di quercia e rintracciato il serpente ormai privo di vita lo portai fuori della boscaglia. Ad occhio misurava circa due metri ed era molto corporoso, peccato che non aveva più la testa, sicuramente portava un cenno di canestrino a dimostrazione della lunga età.
Per non lasciarlo in terra e perché non potesse spaventare ancora lo appesi bene in vista ad un ramo di una giovane quercia e così completata l’operazione e soddisfatto per aver tolto quel pericolo tra le ginestre ripresi il cammino verso mio fratello il quale di tanto in tanto mi faceva giungere il fischio di un richiamo.
Mentre camminavo vidi lontano due ragazzi che pascolavano pecore e capre. Mi diressi verso di loro e arrivato a poca distanza feci segno di venirmi incontro e così fecero.
Offrii loro delle caramelle per rassicurarli e poi raccontai la storia del serpente e indicai dove si trovava. Fecero subito gran festa e uno disse “Lo portiamo al paese!”
Lo conoscevano bene e per timore di trovarselo tra i piedi non frequentavano più quella zona.
Arrivato da mio fratello, e già preparato a ricevere il rimprovero per il ritardo, gli chiesi di fare una sosta per riposare un po’ perché per quanto si fosse a metà settembre faceva molto caldo.
Fatto un riposino avanzai l’idea di ripassare nella zona del mattino dove i due signori avevano trovato quel bel volo di starne. Con la mia esperienza di oggi posso affermare senza ombra di dubbio che quei due signori di caccia non se ne intendevano affatto.
Le starne, come del resto le coturnici, non amano essere disturbate nelle prime ore del giorno per dedicarsi tranquillamente alla pastura infatti le starne in questione frullarono a distanza e si diressero verso di noi per rifugiarsi nel vicino bosco e mettersi al sicuro.
Mio fratello condivise il mio piano e ripartimmo verso quella zona.
Arrivati nelle vicinanze del bosco ci fermammo a controllare, tutto era tranquillo e così iniziammo a cacciare.
Dopo un po’ di tempo notai il mio cane che cercava velocemente.
Lo seguii finché non lo vidi presso un piccolo fosso rimanere in ferma in modo spettacolare.
Lo aspettai tutto il tempo fin che non fece frullare una starna che presi con un solo colpo. Cadde tra le spine, il cane la trovò subito ed eseguì un perfetto riporto, proseguì la cerca e sempre nelle vicinanze del bosco fermò una seconda starna che fece la fine della prima. Il cane la riportò perfettamente. Poco dopo una terza starna fu abbattuta da mio fratello. Il mio cane fece fatica, ma la trovò e la riportò a me.
Ci fermammo per fare il punto della situazione e notai che all’ombra di una grande quercia i due signori del mattino stavano riposando e forse ascoltavano musica. Si trovavano a poca distanza e quindi sicuramente si erano goduti lo spettacolo.
A questo punto decidemmo di andarcene e togliere così il disturbo e per altra via tornammo al paese. Vicino alla nostra moto trovammo una lussuosa macchina con il carrello per trasportare cani, non ci interessammo più di tanto e stanchi ma soddisfatti ce ne tornammo a casa.
Passata una settimana si presentò a casa nostra un signore che non conoscevo, cercava Aldo Palma.
“Sono io!” risposi un po’ perplesso ed iniziò a parlare facendomi una specie di interrogatorio. Per prima cosa bruscamente mi chiese se ero stato a caccia in quel tal paesetto abruzzese ed io risposi di si, ma preoccupato come se avessi commesso qualche mancanza. Mi chiese poi di vedere il cane e dopo averlo visto e ben osservato aggiunse
“Il mio padrone lo ha visto lavorare sulle starne ed è rimasto colpito dalla sua bravura e vuole acquistarlo.”
Per tutto il tempo ero rimasto zitto ad ascoltare e a quel punto mi ripresi e mi tornò in mente quando dieci anni prima un altro “padrone” mi portò via la mia Piccina, una cavalla che tanto amavo e tanto soffrii per quella perdita.
Allora con coraggio risposi “ Riferisci pure al tuo padrone che il mio cane non è in vendita!” L’uomo con tono sicuro continuò “Ma stai scherzando? Non ti capiterà più un’offerta così vantaggiosa!” Tenni duro e non volli neanche parlare di prezzo. A questo punto perse la pazienza e mi disse “Sei troppo giovane e non capisci niente della vita!” E rammaricato per non essere riuscito ad accontentare il suo padrone se ne andò.
Le sue parole mi turbarono molto e spesso ci ripensavo, ma mi convincevo sempre di più che per nessun prezzo avrei potuto cedere il mio cane, il primo che possedevo. L’avevo cresciuto con tanto amore e tanta pazienza, era ormai un cane completo, bravo ed affettuoso. Quando lo portavo a caccia si rannicchiava sul serbatoio della moto e per quanto scomodo stesse non si lamentava mai e così mi convinsi di aver fatto una scelta giusta e non ci pensai più.
Il mio Tom rimase con me molti anni diventando sempre più bravo e contribuì molto nel farmi diventare un discreto cacciatore sempre rispettoso della natura, specialmente di coturnici, ed un appassionato della montagna.
Un buon cacciatore fa un buon cane ed un buon cane fa un buon cacciatore. Questo è frutto della mia lunga esperienza di caccia.
Ho descritto questa mia prima giornata di caccia, vissuta ben sessant’ anni fa, con lo stesso entusiasmo dei miei vent’anni, senza tralasciare il minimo particolare ed è stata per me una grande gioia e non voglio aggiungere come scriveva quel grande…”Non c’è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice…”
Nel rievocare questi fatti e questi episodi realmente accaduti ritrovo la forza, il coraggio, l’entusiasmo per andare avanti e sopportare pazientemente il peso degli anni.
Mi riprometto di descrivere una delle tante cacciate fatte a coturnici cercando di descrivere al meglio questo stupendo volatile, uno dei tanti capolavori della natura, ed il suo habitat preferito nella vastità e nella grande pace della montagna.
La montagna è come il mare per amarla bisogna conoscerla.
racconto di A. P.