“Essere cacciatori non significa solo uccidere, ma istruirsi, cercare di capire sempre più e rispettare la natura con tutte le sue creature buone e non buone che siano.
La bellezza e l’integrità pura che a quei tempi offriva la montagna è purtroppo scomparsa, deturpata dalle tante strade e dai fuoristrada sempre più potenti che arrivano da tutte le parti rovinando così le ultime bellezze della natura rimaste.”
Le coturnici del monte Marsicano
Partendo da Sora,una cittadina del frusinate, dopo aver percorso tutta la strada fino a Forca d’Acero, sorpassato il passo, il primo e secondo rifugio e la parte boscosa, si scende per una strada ricca di tornanti, ma scorrevole fino alla strada marsicana ove si trova il bivio per Opi, Pescasseroli, la Camosciara e Villetta Barrea. Tutti paesini abruzzesi.
Durante questo percorso si può ammirare il superbo e maestoso monte Marsicano, uno dei più alti monti dell’Abruzzo, senza nulla togliere al monte Greco e al monte Mattone.
Un giorno, con un mio carissimo amico, decisi di fare una scalata anche per cercare le nostre amate coturnici. Lungo la strada stessa stabilimmo il percorso da fare.
Ci presentammo molto presto giù ad Opi e prendemmo il sentiero che ci permetteva di raggiungere la meta prefissa. Era notte fonda quando iniziammo a inerpicarci su per la salita.
Camminammo per un paio d’ore con un buon passo, proprio da veri montanari, senza parlare e senza alcun lamento. Era ottobre, non faceva caldo, e quindi si camminava speditamente. Ad un tratto ci apparve ancora molto lontana la prima vetta.
Decidemmo di fermarci per un prima sosta e dedicarci all’ascolto del richiamo delle coturnici e valutare la situazione.
All’ora giusta del richiamo, cosa che avviene normalmente poco prima dell’alba, udimmo non un armonioso richiamo, ma un solo canto dal tono minaccioso e prepotente e durò a lungo, proprio a voler dimostrare il dominio assoluto della zona.
Il mio amico, più esperto di me, si rese subito conto che si trattava di uno “scapolone” un maschio di coturnice rimasto “scapolo” e per vendicarsi della sua solitudine non permetteva alle nuove coppie di coturnici di rimanere in quell’ habitat.
Per chi non lo sapesse le coturnici non fissano la loro dimora in una zona qualsiasi dell’alta montagna, ma in luoghi con determinati requisiti: al riparo dal vento, verdi pianori per la pastura, nascondigli rocciosi…
Dopo una breve consultazione con il mio amico decidemmo di stanarlo. Era molto importante per noi in modo che l’annata ventura avremmo trovato nuove covate di coturnici.
Era giorno fatto ormai e riprendere la nostra salita non fu cosa facile anche perché il percorso diventava sempre più faticoso. Nei punti più ripidi e pericolosi il mio cane, molto forte, mi aiutava tirando come un piccolo mulo.
Arrivati finalmente dove poteva iniziare la ricerca ci fermammo ad osservare la zona. Lasciai il mio amico, più stanco di me, a guardia di un grande canalone dicendogli “Se ci sfugge passerà di certo da qui!”
Finalmente liberai il cane ed iniziammo la ricerca.
Attraversai piccoli scomodi sentieri che si intersecavano fra loro tra grandi spuntoni rocciosi e strapiombi da far paura. I miei passi tra le rocce procuravano un rimbombo. Non si udiva neanche il minimo rumore, un silenzio di tomba, e mentre osservavo tutto questo mi accorsi di aver perso di vista il cane che cercava tra le sporgenze rocciose.
Cercai di richiamarlo con un sottile fischio ultrasuono, ma inutilmente.
Ad un tratto udii un potente frullo e vidi la coturnice che stava già guadagnando il canalone e veloce come un missile riuscì a sfuggirci.
Il mio amico, sia pure a distanza, controllò il percorso fatto e senza perderci di coraggio ci ripromettemmo di tornare.
Conoscevamo ormai tutto dello “scapolone” e prenderlo non doveva essere impossibile.
Questa speranza ci diede la forza ed il coraggio di proporci di affrontare nuovamente le quattro ore di pesante cammino per risalire fin lassù.
“Superbo monte Marsicano, questa la grande passione che invade i cacciatori di coturnici, conoscerti e mirare alle cime più alte.”
Alle spalle del grande monte trovammo una grande “carrareccia” formata da tantissimi piccoli ciotoli e scivolando a grandi passi tra loro ci permisero di scendere a valle in una sola ora e divertendoci come se sciassimo.
A distanza di otto giorni ci ripresentammo all’appuntamento con un piano studiato nei minimi particolari.
Partimmo con comodo, non dovevamo attendere l’ora del richiamo.
Arrivati sul posto il mio amico si pose a guardia del canalone ed io liberai il cane che già fremeva avendo riconosciuto la zona.
Dopo una lunga ricerca lo “scapolone” partì da un grosso roccione spaventato dal cane. Lo avevo appena visto venir giù per immettersi nel canalone quando con una fucilata lo fulminai in aria lasciandosi dietro una nuvola di penne che svolazzavano.
Il mio amico che si trovava più in basso vide tutto e gridò “Bravo!….Ora penso io al recupero.!”
La coturnice era finita in fondo al canalone e ritrovarla non era cosa facile poiché madre natura ha pensato proprio a tutto per proteggere le sue creature.
Le coturnici infatti vestono piume bellissime di colore azzurrino in modo da mimetizzarsi perfettamente con il colore della roccia della montagna e hanno becco e zampette rosse con delle striature. Un selvatico meraviglioso. Per ritrovarle fissavo bene il punto di caduta e mettevo a terra in vista il mio cappello e iniziavo a girare e a rigirare fin che non la ritrovavo.
Ogni volta che ne prendevo una in mano provavo una sensazione diversa e dopo averla ammirata e, aver ricomposto le sue piume un po’ sciupate, la riponevo nel mio zaino e ripartivo per una nuova ricerca.
Ritrovato dunque lo “scapolone” prepotente, grande come un galletto domestico, con speroni sulle zampe che indicavano un’età di almeno tre anni, soddisfatti di aver realizzato il nostro progetto ci avviammo verso la “carrareccia” da cui scendemmo a valle anche divertendoci.
Durante l’anno facemmo molti progetti dopo questo evento. Così all’apertura della caccia alle coturnici, che cadeva come sempre nella seconda domenica di ottobre, il mio amico ed io ci presentammo puntuali all’appuntamento con il cuore gonfio di buone speranze di goderci i frutti delle nostre fatiche dell’anno passato.
Ci mettemmo in ascolto del richiamo delle coturnici. Si fece giorno e nessun richiamo era giunto alle nostre orecchie. Fu grande la delusione. Senza parole il mio amico voleva tornarsene subito giù, ma io, insistendo, lo convinsi a riprendere la salita e ad arrivare in cima per meglio controllare la situazione. Si era spento però l’entusiasmo.
Per rincuorarci un po’ ci accomodammo su una bella cima esposta al sole poiché faceva fresco e consumammo una buona colazione.
Decidemmo poi di dividerci tenendo presente il punto da dove prendere la casareccia per il ritorno. Il mio amico si avviò a destra io a sinistra.
Ci tenevamo d’occhio, il mio cane cercava svogliatamente tra alcuni spuntoni rocciosi e piccole roccette che emergevano da un piccolo pianoro verde.
Ad un tratto avvertii qualcosa, il cane rimase in ferma vera tanto che si pose a terra per non disturbare il selvatico. Rimasi fermo anch’io per godermi lo spettacolo. Dopo un po’ di tempo davanti al cane volò una coturnice con un voletto silenzioso e particolare, con tutte le piume arruffate volava a zig zag come volesse attirare la mia attenzione. Si fermò ad una ventina di metri. Il cane non si mosse. Neanche avvertì il volo della coturnice. Io ero rimasto tanto sorpreso e non avevo neanche pensato al fucile. Mi resi subito conto che doveva esserci nei paraggi una nidiata di coturnici.
Con delicatezza mi avvicinai al cane e lo agganciai subito al guinzaglio, per sicurezza. Subito dopo aver fatto questo tra il cane ed i miei piedi frullarono tutte unite le piccole coturnici della grandezza di una quaglia facendo un gran fracasso. Si diressero verso la madre e si posarono in terra.
La coturnice madre non esitò a mettersi in mostra offrendosi come facile preda pur di salvare i suoi piccoli.
Sicuramente le nevicate il freddo ed i temporali primaverili avevano rovinato la prima nidiata e questa, sia pure in ritardo, era la seconda.
Non sono mai stato uno sparatore accanito e di questo ne sono sempre stato fiero.
Feci cenno al mio amico, che si trovava molto lontano da me, di ridiscendere e decisi subito di non dire nulla, per il momento, poiché il suo cane molto giovane e agitato avrebbe sicuramente fatto danni.
Giunti alla mia cinquecento gli raccontai tutto e lui subito si irritò.” Potevo almeno farle vedere al mio cane…il tuo poi è molto bravo e le avrebbe prese tutte!”
Sarebbe stato un vero peccato ed io ero sempre più contento della scelta fatta.
“Torneremo a dicembre quando saranno diventate grandi. Alle prime nevicate spaventate scendono a valle, ma poi si abituano alla neve e ci convivono molto bene. Si rifugiano sotto i grandi roccioni dove la neve non cade e si nutrono di piccole pietruzze, che servono a rinforzare le ossa, di lumachine e piccole erbette.”
A dicembre tornammo ad Opi e con tanta fortuna trovammo un passo di beccacce che attirò la nostra attenzione. Caccia meno faticosa e più redditizia quella della “Regina dei boschi!”
Ho steso questa storia con tanta fretta come se temessi di non fare a tempo a scriverla. Mi tornavano alla mente tanti ricordi e avrei voluto scriverli tutti.E’ stato per me un grande piacere: l’ho rivissuta quasi con lo stesso entusiasmo degli anni passati. E’ sempre molto bello e piacevole ripercorrere giornate trascorse in gioventù. Si ritrovano un po’ di forza e coraggio che aiutano a vivere la terza età più serenamente.
racconto di A. P.