La mania dei cartuccioni è sempre stata una prerogativa italiana, ma non tutti i cacciatori italiani la pensano allo stesso modo, o almeno in molti operano un discernimento fra le diverse situazioni e affidano oggi alla carica pesante i compiti di lunghi tiri agli acquatici e domani si presentano a una battuta con il cane da ferma o a un drive all’inglese curati di tutto punto nello spirito, nell’abbigliamento, nel fucile e, da ultimo ma non ultimo, nelle cartucce. Gli inglesi si sono sempre distinti per una sobrietà a volte snobistica, a volte cocciuta, ma sempre elegante perché certe loro scelte sono il prodotto di tutta una serie di valenze dove nessuna primeggia sulle altre, ma tutte concorrono a renderne l’applicazione sul campo un qualcosa di estremamente funzionale. Ovvio come tali peculiarità diano il loro massimo quando si rimanga in un ambito come dire… molto British dove sono banditi gli eccessi di ogni genere e dove la classe e la misura sono il metro di giudizio degli astanti. Ora non è che si vada a caccia per raccogliere i pareri di chi ci sta attorno, ma osservare il galateo specifico è sempre un buon mezzo per venire apprezzati e magari godere di qualche benevolenza venatoria che non guasta di certo.
Tutto questo prologo per illustrare le cartucce che la Purdey mette a disposizione, grazie all’importazione della Paganini di Torino, anche agli italici cultori della misura intesa quale virtuoso star nel mezzo fra due estremi. Sulle cariche delle cartucce a pallini si sono spesi fiumi di inchiostro, sovente per riconfermare quanto nella terra di Albione era stato codificato da decenni e anche più. Per il calibro 12 oramai è standardizzata la camera da 76 mm anche se poi si usano correntemente cartucce da 70 mm: qui si è ancora legati alla camera da 65/67 mm e leggiamo sulla bella scatola in cartoncino verde scurissimo le prescrizioni anche il lingua francese per cui le cartucce contenute sono impiegabili in quei tantissimi fucili che ancora vivono oltre Manica e in giro per il mondo e sono così camerati. Si prescrive di non impiegare fucili dal cattivo funzionamento e di attendere almeno 30 secondi in caso di mancato fuoco prima di aprire l’arma, indirizzata opportunamente dove non vi siano pericoli per uno sparo accidentale.
La cartuccia è adeguata in ogni particolare allo stile cui si richiama quindi si tocca con piacere un bossolo in bel cartone rosso con scritte brune dove marca, entità della carica, numerazione dei pallini sono ben leggibili; una concessione al divenire delle cose è la chiusura stellare a sei pliche con orlo a becco di civetta, una “modernità” che ci richiama alle belle cartucce da piattello degli Anni 60 caricate da Oderda di Ceva (CN) con la polvere Cooppal. Il peso dei pallini, qui del n. 7 quindi da 2,4 mm, si attesta sulla mitica oncia, i nostri 28 g, che a onor del vero è la carica naturale del calibro 16 e da un po’ di tempo quella da piattello per le categorie subalterne.
La borra non la si vede, ma solo leggere com’essa sia in feltro ci fa assaporare un qualcosa che rischia di finire nel dimenticatoio: è vero che non ha la funzione protettiva della colonna di piombi che strusciano così sull’interno della canna, ma è pur vero come stipare 28 g in luogo dei 36 costringa meno le piccole sfere a schiacciarsi deformandosi e guastando un poco la rosata; parimenti lo sfruttamento dell’elasticità del feltro attutisce il colpo d’ariete con i vantaggi che oramai tutti conoscono.
Insomma queste cariche di Purdey fanno sicuramente un figurone dal punto di vista estetico e storico conquistando insieme il gradimento del tiratore che saprà comportarsi di conseguenza con gli ingaggi dei selvatici: si ha il favore della velocità di uscita della carica, un’apprezzabile prerogativa, e del rinculo quasi inavvertibile: anche dopo tanti, tantissimi colpi non si ha la spalla indolenzita e lo zigomo paonazzo: cose che farebbero esclamare a ragione oh my God!