Non sempre è possibile riportare a nuova vita le forme di caccia tradizionali, eppure se rispolverate queste aiutano a vivere in maniera autentica, rispettosa e passionale la natura: una sorta di obbligo morale per i cacciatori d’oggi che potrebbero così trasferire alle future generazioni quel rispetto per la flora e la fauna che alcuni stanno dimenticando.
La buona gestione del colombaccio di passo non è certo cosa semplice, per quanto un aiuto alle nuove generazioni potrebbe arrivare direttamente dalla caccia tradizionale, non solamente patrimonio culturale, ma anche grande esempio di rispetto per l’ambiente.
Pare quasi che in un passato nemmeno troppo lontano i cacciatori si accontentassero di riempire il carniere di quel che necessitava sul momento, senza che la pratica della caccia mettesse a repentaglio il patrimonio faunistico del dintorno cosa che ad oggi accade troppo di frequente. E specie nel caso del colombaccio i cacciatori veri sono stati sostituiti in parte dagli sparatori che mettono a repentaglio la presenza del volatile migratore sul territorio italiano: proprio per questo i cacciatori, quelli veri, più di una volta hanno richiesto una più seria regolamentazione ma soprattutto che attraverso norme più ferree l’antica cultura venatoria, pregna del rispetto per la natura e per l’ambiente, venga tutelata.
Le vecchie forme di caccia tradizionale al colombaccio, praticamente estintesi, creavano un rapporto e un contatto diretto fra animale, natura e cacciatore, che pure era predatore, ma rispettoso. Il cacciatore lo sapeva bene: per dar la caccia ogni anno al colombaccio doveva rispettare non solo il volatile, ma anche l’ambiente agricolo e forestale nel quale il migratore viveva. Tecniche di caccia come la nocetta, il roccolo, la paiella, la caccia alla botte o il palco dei piccioni sono ad oggi solo un ricordo che non di rado riprende vita per motivazioni scientifiche o per rappresentazioni venatorie di vario genere e non è probabile che queste tecniche tornino in auge: quel che realmente conta è conoscerle, per assaporare quella passione per la natura, quel contatto con il selvatico, quel rispetto per le specie cui si da la caccia da alcuni dimenticato.
Si trattava in generale di forme di caccia al colombaccio sedentarie che si svolgevano in forma comunitaria: lo sparo avveniva essenzialmente da fermo. Il cacciatore in posizione attendeva il passo del colombaccio pronto a mettere a confronto la propria abilità con quella del volatile migratore. L’abilità del cacciatore nello specifico si dimostrava nella sua capacità di preparare un sito ben mimetizzato, nel far funzionare i volantini nei tempi e modi giusti, ma anche nel buon posizionamento dei richiami a seconda del vento. Il buon cacciatore doveva inoltre saper potare a dovere le piante per avere una migliore visuale dei volatili che vi si posavano e per essere professionista a cinque stelle doveva saper sparare alla conta, essere dunque in grado di non doppiare l’animale. Per la gestione di un buon appostamento di caccia serviva dunque preparazione, abilità, capacità e il buon cacciatore non si doveva dimostrare né impaziente, né frettoloso e improvvisato.
Conoscendo approfonditamente l’animale cui si dava la caccia si sapeva che nel caso del mal funzionamento dei volantini, nel caso di appostamenti mal preparati e di elementi lasciati a vista, era meglio abbandonare la postazione: la caccia non sarebbe stata fruttuosa vista la grande sensibilità ed intelligenza del colombaccio.
Inoltre l’ambiente di caccia era fondamentale venisse vissuto rispettando alcune regole fondamentali: si arrivava sul posto la mattina molto presto e la postazione di caccia veniva abbandonata all’imbrunire, di norma si dava la caccia esclusivamente al colombaccio e si sparava essenzialmente a fermo, mentre il tiro a volo era un’eccezione perché avrebbe causato troppo rumore. Il fucile usato era normalmente la doppietta per coprire diverse distanze e non di rado i cacciatori erano accompagnati dalla famiglia con la quale, a fine caccia, si trascorreva una piacevole giornata in campagna.
Insomma una giornata campale a contatto con la natura durante la quale la caccia tradizionale poteva dare il meglio di sé e per quanto ad oggi questo genere di caccia sia sempre più difficoltoso da mettere in pratica, i cacciatori potrebbero rivisitarla adattandola ai tempi, per salvaguardare non solo specie ed habitat naturali, ma anche per riassaporare il gusto della caccia per passione.
Giornalista e fondatore di Caccia Passione. Correva l'anno 2002 quando diedi vita al portale internet, mettendo a frutto tre grandi passioni, quella in lettere moderne, l'altra per l'informatica e altresì per l'attività venatoria. Negli anni Caccia Passione è divenuto testata giornalistica ove oggi scrivono le migliori "Penne" giornalistiche d'Italia.
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