Nel settembre 2019 un gruppo di esperti internazionali in ecologia del movimento animale si incontrava alla Fondazione Edmund Mach per sviluppare un’idea ambiziosa: documentare per la prima volta tutte le vie di migrazione dei grandi erbivori terrestri, gli ungulati. Oggi quell’idea è diventata un’iniziativa supportata ufficialmente dalle Nazioni Unite che raccoglie quasi un centinaio di studiosi e biologi della conservazione da tutto il mondo. L’Iniziativa Globale per le Migrazioni degli Ungulati (GIUM, Global Initiative for Ungulate Migration) viene presentata in questi giorni sulla prestigiosa rivista Science. La disponibilità di un atlante mondiale delle migrazioni permetterà di identificare le aree e i corridoi di passaggio degli ungulati durante questi importanti movimenti. Scienziati, biologi della conservazione e decisori avranno uno strumento rapido e dinamico per sviluppare e adottare soluzioni di mitigazione che possano preservare il fondamentale comportamento migratorio degli ungulati. Grazie all’Atlante, si potranno ad esempio localizzare i punti chiave dove costruire ‘ponti verdi’ sulle grandi vie di comunicazione, o aprire recinzioni durante il periodo migratorio ed ancora connettere aree di protezione con ‘corridoi verdi’.
Per questa ragione, l’iniziativa ha avuto la partnership ufficiale della Convenzione per la Conservazione delle Specie Migratorie della Fauna (CMS) delle Nazioni Unite. “Siamo all’inizio di uno sforzo epocale, ma il coordinamento tra gli esperti e il supporto delle Nazioni Unite lo rendono possibile e di grande impatto” commenta la dr. Francesca Cagnacci del Centro Ricerca e Innovazione FEM, secondo nome sull’articolo e organizzatrice dell’incontro a San Michele. Nel Commentary di Science (https://science.sciencemag.org/cgi/doi/10.1126/science.abf0998) si citano spostamenti strabilianti di centinaia di chilometri, come quelli della gazzella della Mongolia o della saiga in Asia, della gazzella di Thompson e degli gnù in Africa, o delle renne e caribou nell’Artico, che sono però interrotti e limitati da arterie stradali di nuova costruzione, da impianti estrattivi, o da recinzioni di confine.
Drammaticamente, per molti ungulati non si conoscono ancora le vie di migrazione (per esempio, il guanaco in Argentina), che rischiano così di scomparire ancor prima di essere tracciate. Anche l’Europa continentale offre spunti importanti, essendo il primo continente ad aver trasformato profondamente il proprio territorio: “Il cervo rosso è capace di spostamenti di molte decine di chilometri in pochi giorni, come nel Parco dello Stelvio in Trentino, ma spesso diventa residente e localmente sovrapopolato negli ambienti frammentati europei”. “Durante la riunione nel 2019 in FEM abbiamo formalizzato l’idea e pensato di organizzare una conferenza a cui invitare gli studiosi di tutto il mondo su questo tema. Anche se ovviamente la conferenza è stata rinviata, la pandemia non ci ha fermato: abbiamo contattato i colleghi e collaborato tra noi con decine di riunioni telematiche, individuando la realizzazione di un Atlante Mondiale delle Migrazioni di Ungulati come la nostra priorità” riporta la dr Cagnacci.
“Abbiamo cominciato a sviluppare una struttura digitale per ricevere, elaborare e pubblicare i dati di spostamento ottenuti da collari GPS e, quando questi ultimi non sono stati ancora utilizzati, dalle conoscenze di esperti locali, ma ci siamo anche confrontati sulla motivazione centrale della nostra iniziativa: il rischio che le migrazioni degli ungulati scompaiano a causa dell’impatto umano” continua il prof. Matt Kauffman, dell’Università del Wyoming, primo coordinatore dell’iniziativa. Gli ungulati sono dei consumatori primari, ossia si nutrono delle risorse vegetali. Al contempo, fertilizzano il suolo e trasportano nutrienti ed energia e rappresentano le prede principali dei grandi predatori, rivestendo così un ruolo ecosistemico fondamentale. Sono da millenni legati alla cultura e identità delle popolazioni umane, con la caccia e il pastoralismo. “Senza migrazioni di ungulati – puntualizza Cagnacci- , molti servizi ecosistemici verrebbero compromessi e ci si può attendere un crollo della biodiversità ad essi legata a diversi livelli di complessità, dal microbiota, ai grandi carnivori, fino all’interazione con i domestici” (Mondo Raro).