Cacciata da record sabato 13 novembre sul Monte Amiata. La squadra di cinghialai della Montagnola, di Seggiano (Grosseto), s’è imbattuta in un cinghiale maschio di 175 chilogrammi. Il “megacinghiale” è stato abbattuto vicino a Seggiano, in località La Caduta. «Di solito incontriamo cinghiali da 80-90 chilogrammi – dice Gilberto Alviani, della squadra della Montagnola – Il massimo che ci era capitato finora era 130 chili, ma sono casi rari. Io, in 20 anni che ho il porto d’armi, non avevo mai visto niente di simile». E mai alle cronache era balzato un caso simile. Ci sono voluti oltre un’ora e nove colpi prima di riuscire a prenderlo. «Nonostante otto colpi, continuava a scappare – prosegue Alviani – e solo al nono colpo Matteo e Manuele, due cacciatori ventenni, sono riusciti a fermarlo».
Per la squadra, formata da circa 40 cacciatori e che di media abbatte 200 cinghiali all’anno, è una cacciata da ricordare negli annali. Per capire come sia possibile che un cinghiale di questa stazza si trovi nei boschi locali, Il Tirreno ha chiesto lumi al direttore del Museo di Storia naturale di Grosseto, Andrea Sforzi. «Non avevo mai sentito parlare di un esemplare così grosso – dice Sforzi –. Un peso del genere è molto raro. Il record precedente era sui 130 chilogrammi. La dimensione fuori dal comune è dovuta anche all’età. Anche se quello di sabato è gigantesco, può capitare di imbattersi in animali grandi, importati, con immissioni venatorie, dal centro-nord Europa».
Insomma, il cinghiale di Seggiano non è di quelli autoctoni. «Ormai non esiste più la specie maremmana – aggiunge Sforzi – caratterizzata da un peso minore, sui 70-80 chili e dalla poca riproduzione delle femmine. Gli esemplari arrivati negli anni dal continente, ritrovati anche sull’Appennino, si riproducono più di frequente e con più piccoli rispetto al maremmano». Come è noto, da tempo i cinghiali proliferano in tutta Italia creando danni all’agricoltura e incidenti stradali. Uno dei motivi è, appunto, la gran capacità dei cinghiali non autoctoni di riprodursi. Ma questo non è l’unico motivo. «Seppure sia vietato, anche penalmente – dice Sforzi – ci sono cacciatori che li alimentano durante tutto l’anno nel bosco. E questo porta ad avere un numero anche troppo abbondante di esemplari» (Il Tirreno).