Settembre per molti è il mese delle ferie intelligenti, dell’autunno che arriva, del lavoro d’ufficio che riprende, ma da che ricordo per me è sempre stato il mese dell’apertura della caccia.
E’ una sensazione, quell’ansia venatoria, che mi prende ogni anno, che solo un cacciatore può capire. Temo che a trasmettermela sia stato mio padre, e io, pure inconsapevolmente la trasmetterò a mio figlio.
Certo, qualche anno fa, quando ero più giovane e con meno acciacchi, vivevo questo periodo mille volte più intensamente. Ricordo che con Lorenzo, mio cugino, eravamo soliti tenere d’occhio le campagne circostanti la nostra casa già parecchi giorni prima rispetto all’apertura della caccia vera e propria.
Allora c’era davvero poco cemento, e la vegetazione invadeva ogni cosa. Noi due trascorrevamo le giornate perlustrando la zona, studiando le mosse delle tortore, modificando la nostra giostra o revisionando gli stampi. Le ricordo ancora le discussioni con quella che allora era la mia fidanzata e che poi ha avuto il coraggio di sposare un cacciatore.
Le settimane prima erano tutte votate alla preparazione, d’altronde non potevamo lasciarci prendere alla sprovvista e compromettere la prima giornata di caccia per qualche sciocchezza sottovalutata. Così, girovagando nell’attesa, ci siamo goduti la fuga di meravigliose lepri, indimenticabili covate di fagiani o stuoli di stormi in volo seguiti da bellissimi branchi di tortore. Insomma ci si immergeva a capofitto nella natura e ve lo assicuro, niente è altrettanto perfetto.
Tre giorni prima dell’apertura della caccia, di norma le perlustrazioni si facevano più mirate e io e Lorenzo individuavamo il luogo migliore per i nostri appostamenti. La tortora d’altronde è sempre stato uno dei volatili più ambiti, forse proprio perché particolarmente fuggevole, caparbio e particolarmente tenace e se lo si vuole cacciare ci si deve dedicare anima e corpo alla fase di preparazione. Quando trovavamo il luogo ideale, non ancora colonizzato da altri cacciatori, era una vera e propria festa.
Uno dei migliori è stato un terreno poco distante da casa, che per molti anni nessun altro cacciatore ha scoperto, dove le tortore erano presenti in grande quantità. Lo raggiungevano partendo da un piccolo boschetto più ad est e dopo un breve volo diritto iniziavano a saccheggiare quel ricco campo di girasoli. Il primo anno posizionare il capanno fu davvero un’esperienza indimenticabile. Si doveva tenere conto delle distanze, del vento, del sole, ma soprattutto delle leggi che ci vincolavano. Raggiungemmo il posto la sera precedente l’apertura della caccia. Non volevamo perderci nemmeno un minuto di quell’avventura. Che nottate passate insieme a mio cugino a parlare di caccia e di stagioni venatorie.
Quella notte dormimmo qualche ora e già alle tre del mattino eravamo in piedi pronti a costruire il nostro capanno, tirato su ad opera d’arte. Utilizzammo anche qualche stampo, prestatomi da mio padre che oramai cacciava molto di rado. All’alba eravamo pronti, entrammo nel capanno e nessuno dei due parlò più. Credo che anche Lorenzo, come me, stesse assaporando il momento, i profumi, i rumori della campagna che si risveglia.
Conoscevamo alla perfezione le abitudini di quelle tortore selvatiche, e fucilate in lontananza ci avvertirono che la caccia aveva inizio. Confesso che mi tremavano le gambe dall’euforia, ma dopo il primo sparo subentrò la concentrazione. E per fortuna! Non ricordo di aver mai più visto tante tortore tutte insieme in vita mia. Fu una di quelle aperture di caccia che davvero non si possono dimenticare. Furono dieci minuti carichi di emozioni, uno spettacolo della natura e ancora oggi ringrazio il mio sangue freddo.
Esattamente come era iniziato, tutto si interruppe e per quanto rimanemmo lì per tutta la mattina, non si verificò un secondo passaggio così ricco. Verso mezzogiorno volarono via lontane da noi, e io e Lorenzo non potemmo che ringraziarle per quel meraviglioso regalo e per quei momenti che hanno abitato tantissimi nostri racconti.