Quella al fagiano è una caccia tipicamente settembrina, nel senso che a partire dal giorno dell’apertura generale della caccia fino all’inizio della stagione migratoria si registra un massiccio convergere delle attenzioni venatorie delle doppiette italiane su questa specie. Per almeno due settimane la maggior parte di coloro che possiedono un cane da penna non rinuncia a sfidare il caldo torrido pur di insidiare l’erede della starna, che quantitativamente offre il meglio di sé al momento del pronti via. Trascorsa però la breve sfuriata iniziale, durante la quale a cadere sono soprattutto i soggetti più ingenui e sprovveduti, tocca ai veri appassionati il compito ed il piacere di mantenere aperte le ostilità fino ad autunno inoltrato ed inizio inverno. In questo caso a confrontarsi sono ausiliari e selvatici con gli attributi, e le emozioni, per quanto meno ricorrenti, sono di quelle che meritano di essere vissute
Per essere quasi giunti sani e salvi al traguardo della chiusura della caccia, debbono possedere per forza di cosa una stoffa da veri selvatici
Quando in pieno inverno mi trovo sul capanno in compagnia di un paio di piccioni nella speranza di far la festa a qualche furbo colombaccio di fine stagione, mi capita non così di rado di sentire la quiete del bosco spezzata, si fa per dire, dal rauco ed inconfondibile canto di un maschio di fagiano. Allora mi viene spontaneo cercare di stabilire il punto esatto di provenienza di quella voce provocatoria e nel caso in cui la mia mattina sia stata per il momento assai poco movimentata mi trattengo a stento dal cedere alla tentazione di scendere a terra, prendere il mio springer e cercare di intercettare l’autore del misfatto. Devo dire che pur finendo sempre col resistere al primo impetuoso impulso mi sorprendo comunque a riflettere sul fatto che nei dintorni della mia tesa ed in chissà quanti altri posti anche nell’ultimo scorcio di stagione venatoria sono presenti esemplari di fagiano contrariamente a quanto si possa pensare. E soprattutto non posso fare a meno di considerare il fatto che questi pennuti, per essere quasi giunti sani e salvi al traguardo della chiusura della caccia e soprattutto per essersi adattati con disinvoltura a contesti ambientali non certo confortevoli o privi di insidie naturali, debbono possedere per forza di cosa una stoffa da veri selvatici. Dunque quegli improvvisi gorgheggi, talvolta timidi, appena accennati, quasi strozzati a metà e non certo spiegati a gola squarciata come nella stagione degli amori, mi suonano come la conferma indiretta di una verità che già conosco bene: i fagiani rappresentano una importante risorsa ed una potenziale fonte di piacere venatorio anche e forse soprattutto al di là dello scorcio iniziale della stagione, quando nessuno, purché munito di cane da penna, rinuncia alla possibilità di attingere al ricco serbatoio di colchidi offerto dall’apertura settembrina. Anzi, per quanto i fagiani d’apertura per tutta una serie di motivi siano divertenti da cacciare in compagnia dei propri fidati compagni di caccia, sono proprio quelli superstiti ad esaltare e mettere davvero alla prova le capacità e la tenacia di cani e cacciatori. Certo, trattandosi di selvaggina stanziale è logico che col passare del tempo le occasioni di incontro vadano progressivamente rarefacendosi ma in un certo senso è come se la soddisfazione, l’emozione ed il piacere di cacciare questo selvatico aumenti proprio in proporzione alla sua diminuzione. Quando si riesce ad incarnierare un fagiano in pieno autunno o magari sul finire di dicembre si ha in effetti la netta sensazione di aver compiuto un’impresa non da poco perché sull’esemplare che siamo riusciti a mettere alle strette ed a fregare non possono sussistere dubbi: trattasi certamente di selvatico con la «S» maiuscola e non certo di sospetto «pollo» pronta caccia. Certo, anche a stagione avanzata ci sono fagiani e fagiani, emozioni ed emozioni, ed in genere la differenza la fa il luogo prescelto per tentare la sorte. In effetti siamo soliti pensare che una volta trascorsa la bagarre iniziale settembrina la caccia al fagiano si riduca, per gli stacanovisti, ad un deprimente seguitar di confini di ripopolamenti e bandite che non sempre premia i migliori ma magari i più fortunati o magari i meno corretti che «spostano» per così dire le paline a modo loro. E lo pensiamo perché sono in molti ad accontentarsi di questo surrogato della vera caccia al fagiano, convinti che il galliforme da ottobre in poi lo si possa incontrare solamente in certi posti obbligati. Chi effettivamente non ha alternative non ha nulla da rimproverarsi. Ma chi può optare per altri contesti, nella fattispecie il bosco, ha l’imperativo morale di farlo. Ci sono aree, specie in Toscana, dove il fagiano in effetti offre una opportunità di caccia vera e dove si può scegliere di cacciarlo per tutto l’anno purché si abbiano voglia e mezzi adeguati per poterlo fare. I fagiani di bosco se vogliamo conquistarli ce li dobbiamo sudare, dal momento che si tratta di insidiare soggetti che sanno il fatto loro e che riescono a sfruttare al meglio le opportunità di difesa offerte da un territorio non sempre facile da battere. Rustici e selvatici nel vero senso della parola, abituati ad abbeverarsi negli insogli dei cinghiali e nelle pozze dei ruscelli e ad alimentarsi sfruttando quel poco che passa il convento, questi fagiani al momento in cui si incontreranno avranno avuto tutto il tempo necessario per farsi le ossa, e in base alla loro esperienza sapranno bene che all’approssimarsi di una insidia non dovranno infilarsi a capofitto nel primo roveto a portata di mano, ma dovranno guadagnare rapidamente le soglie della macchia stretta per «imboscarsi» o magari quelle di una tagliata dalle quali poter frullare a distanza di sicurezza come saette e rimettersi nel cuore del loro inespugnabile fortino verde. Si tratta cioè di fagiani che non si lasciano inchiodare passivamente da una ferma statuaria, ma che esaltano le doti di spediti guidatori dei nostri ausiliari e che comunque spesso e volentieri riescono ad averne la meglio, tanto che le loro colonie non corrono il rischio di «estinguersi» anno dopo anno come accade invece a quelle «residenti» in campagna. Ogni cacciatore appassionato di questa selvaggina stanziale non può non sapere che un po’ ovunque oggigiorno sul limitare del bosco, ci sono ceppi ormai ben radicati, che anno dopo anno, inevitabilmente, subiscono alcune perdite ma che, a tempo debito, registrano anche un naturale ripristino numerico. L’importante, per poterli almeno prendere in considerazione, è sapere di poter contribuire in parte a queste perdite stagionali, ovvero di avere le carte in regola per dar del filo da torcere a certi brutti ceffi che per quanto difficili non sono comunque del tutto impossibili.
Vediamo dunque quali sono i requisiti per poter lanciare la sfida ai fagiani invernali con qualche concreta possibilità di riuscire nell’ardua impresa
La ricetta di per sé non è poi così complessa: bisogna anzitutto possedere cani all’altezza della situazione e poi essere veri cacciatori di fagiani per riuscire a condurre al meglio i nostri ausiliari e metterne al frutto l’azione con risolutezza e sagacia al momento dell’incontro fatale. Ma quali sarebbero i cani all’altezza della situazione? Non c’è a tal proposito una ricetta speciale: al cospetto di un vero selvatico occorre che l’ausiliare si dimostri vero cane da caccia. E questo sia che si tratti di un cane da ferma che di un cane da cerca. Diciamo subito che per questi ultimi la cosa è più semplice che non per gli altri. A facilitarli nel loro compito è la tipologia del lavoro che li caratterizza ed il fatto che la maggior parte di essi è in grado di svolgerlo in modo efficace. Esistono, è vero, anche springer svogliati, ma certo non li troveremo mai in mano a veri cacciatori, specie se di fagiani, e poi sono casi piuttosto sporadici. In genere lo springer è un cane avido e le imprese difficili, nelle quali occorre intraprendenza, caparbietà e risolutezza, lo esaltano. Il fagiano è un selvatico che gli calza a pennello e quello invernale rappresenta per lui il massimo della goduria, stuzzicandone la dote che più lo contraddistingue, ovvero la rapidità. Non è un segreto in effetti il fatto che a differenza di molti congeneri che capita di scovare all’apertura e dintorni, il fagiano invernale cerchi soprattutto di battere il cacciatore ed il suo ausiliare sul tempo. Quindi, una volta che si sia incrociata la nostra strada con quella di una di queste scaltre creature, occorre soprattutto non perdersi in vani ghirigori ma mirare al dunque, ossia ad incalzarlo sollecitamente fino a metterlo spalle al muro prima che svanisca, a piedi ed in volo, dove non lo possiamo più raggiungere. E uno springer che sappia il fatto proprio cercherà immediatamente di accorciare le distanze, divorando l’usta fino al momento dello scovo. Il vero problema per i proprietari sarà quello di capire la situazione, leggerla nel più breve tempo possibile e adottare le contromisure del caso. Il cane da ferma, egualmente, dovrà essere di quelli più disposti a battagliare di spada che non di fioretto. Non farà al caso nostro un purista della ferma, così come neppure un cervellotico beccacciaro abituato ad usare la massima prudenza. Qui non si tratta di inchiodare il selvatico, dal momento che questo non si lascerà certo «gestire» a breve distanza dal suo avversario. Il fagiano invernale non si sofferma a pensare, perché quando avremo la fortuna di essergli abbastanza vicini da poterlo insidiare lui avrà già valutato il da farsi con largo anticipo. Si tratterà di sfruttare al meglio quel breve lasso di tempo che passa tra la sua titubanza (dovuta non ad ingenuità ma ad astuzia) ed il momento del si salvi chi può, quan- 2010 71 do cioè il nostro avversario rompe gli indugi perché si rende conto che temporeggiare non lo sottrarrà al pericolo. Quindi anche il cane da ferma dovrà essere capace di accorciare tempi e distanze, per contrastare la più probabile soluzione prescelta dal fagiano quale rimedio ai suoi problemi contingenti: la fuga di pedina! Dunque, anche affidandosi ad un fermatore il cacciatore non potrà certo pensare di prendersela comoda, altrimenti del fagiano non sentirà neppure il frullo. Alle qualità del cane debbono dunque necessariamente sommarsi quelle del conduttore, che non si limitano certo ad aver gambe buone e riflessi pronti. Questi sono requisiti importanti ma non bastano. Come detto bisogna essere anzitutto veri cacciatori di fagiani, ovvero bisogna conoscere il selvatico, le sue reazioni nel momento della caccia ma anche le sue abitudini, per saper valutare al meglio il come, il dove ed il quando cercare di «fregarli». A nostro favore gioca un dato di fatto: i fagiani di bosco sono piuttosto abitudinari e se non vengono disturbati eccessivamente, oppure se non vi sono condizioni atmosferiche del tutto insolite, escono all’aperto alla ricerca di cibo più o meno agli stessi orari. Per il cacciatore è importante poter sfruttare questa regolarità, al punto che, qualora si incontri un selvatico ad una determinata ora del giorno senza riuscire ad abbatterlo, si può consigliare di lasciar trascorrere qualche giorno prima di tornare ad infastidirlo in modo tale che riprenda la propria routine e, quando lo si reputi opportuno, ci sia possibile andare a ricercarlo quasi certi di ritrovarlo nel medesimo luogo ed allo stesso momento. A proposito di condizioni meteo particolari, al termine di una pioggia abbondante o durante lo spirare di un vento teso e freddo, è facile sorprendere i fagiani fuori dalla loro roccaforte alberata: per lasciare i loro umidi appolli e scendere ad asciugarsi le penne nel primo caso e per evitare il fastidioso stormire delle fronde nel secondo. Altri momenti topici si imparano con la pratica, la stessa che ci insegna anche come regolarci al momento dell’incontro. Nella maggior parte dei casi, come detto, si tratta di battere l’avversario sul tempo, cogliendolo di sorpresa in modo tale da impedirgli di «correre» efficacemente ai ripari: correre anche in senso letterale, perché questi esemplari, costantemente sul chi va là, non esitano un istante a darsela a gambe levate pur di evitare di esporsi in volo davanti ad un pericolo incalzante. In certi casi può trattarsi addirittura di gabbare il nostro avversario tagliandogli la strada che in breve lo riporterebbe nel cuore del bosco e dunque al sicuro. Abbinare alla rapidità un assoluto silenzio sarà poi condizione irrinunciabile. Inoltre, laddove sia impossibile penetrare nel folto per seguire il nostro ausiliare, dovremo lasciarlo lavorare ed attendere gli eventi sfruttando il senso del piazzamento che certo non deve difettare a nessun valido cacciatore di fagiani, soprattutto se amante della caccia in solitaria. Il conduttore, a seconda della conformazione del terreno e della vegetazione, dovrà cercare di guadagnare rapidamente il luogo che valuterà più idoneo a dominare le possibili direzioni di involo del selvatico, nella speranza che il frullo non avvenga a distanza impossibile, cosa che non va esclusa dal momento che nella maggioranza dei casi un genuino fagiano di bosco cercherà di distanziare il cane per poi balzare silenziosamente e planare lontano fuori della vista e persino dell’udito del cacciatore. Ma in fondo, anche quando finisce così, non dobbiamo rammaricarci: una sfida irrisolta è solo una sfida che si prolunga, un confronto che ci tiene sulle spine regalandoci un susseguirsi di intense, palpitanti emozioni.
Testo e foto di Pierluigi Mugellesi