In cinque anni abbattuti oltre 200 cinghiali all’interno del Parco Capanne di Marcarolo. La cifra precisa, tutt’altro che elevata, 228, emerge dal piano di controllo della specie riferito al periodo 2015-2020, che prevedeva di abbattere, con le tecniche dell’appostamento e dell’uso delle gabbie, al massimo 500 capi in totale, cioè 100 all’anno. Solo nel 2017, con 86 capi, ci si è avvicinati a tale cifra ma non è stata una lacuna nell’applicazione del piano: la quota indicata non era infatti da rispettare alla lettera e gli abbattimenti sono stati eseguiti in base ai danni registrati e alle concentrazioni di animali.
Nel territorio del Parco è stata una infatti registrata “una costante diminuzione della presenza del cinghiale nelle aree di intervento” accanto a “una drastica diminuzione dei danni alle coltivazioni”. Si sono però verificati incrementi nel numero dei capi in corrispondenza dell’apertura della caccia nelle aree libere, cioè in autunno. Nelle settimane scorse il Consiglio delle Aree Protette dell’Appennino Piemontese ha adottato la nuova versione valida per il quinquennio 2020-2025, che attende il parere dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione dell’ambiente) prima di essere definitivamente approvato. Il nuovo piano indica una serie di località e cascine intorno a Capanne di Marcarolo e non solo, fra cui Cascina Moglioni, Cascina Merigo, Cascina Crovi, Capanne superiori e il complesso monumentale della Benedicta, dove è necessario intervenire.
Tiene però anche conto della presenza del lupo, predatore del eccellenza del cinghiale. L’intera area protetta è stata suddivisa in aree di intervento al massimo da 750 ettari ciascuna. Il piano 2020-2025, a differenza dei precedenti, non indica alcuna quota di abbattimento poiché, come ha stabilito l’Ispra per i piani di contenimento di altre aree protette, l’obiettivo è il contenimento dei danni, che non necessariamente si raggiunge con gli abbattimenti. Nelle aree esterne al Parco il numero di cinghiali abbattuti è di molto superiore ma il problema dei danni alle coltivazioni non viene mai risolto. L’Appennino Piemontese, nel redigere il piano, fa riferimento all’età degli ungulati e tiene conto, anche del periodo riproduttivo delle femmine, al contrario di quanto avviene altrove (Giornale7).