Nella mia discretamente lunga e impegnata attività di dirigente della Federazione Italiana della caccia ( I^ iscrizione 1968 – presidente comunale a Tarvisio, consigliere, segretario e presidente provinciale a Udine, consigliere regionale Friuli Venezia Giulia – ho dovuto giocoforza limitare la caccia vera e propria – caccia di montagna – per far fronte a tutte le incombenze che i vari incarichi hanno via via comportato. In più, alla normale attività amministrativa ed organizzativa si è sovrapposto un periodo di eccezionale attività di contrasto alle azioni degli anticaccia: referendum nazionali e regionali in primo luogo.
Impegno gravoso, ma anche gratificante: avevamo alle spalle una organizzazione eccezionale. Singolarmente come Federazione, unitariamente nell’UNAVI, con l’apporto del CNCN. Raccolta di firme, azioni di contrasto in Parlamento nei confronti del Governo, impegno personale di Parlamentari di spicco, manifestazioni di massa, a livello locale e nazionale: come non ricordare la riunione del Paleur a Roma, con l’autostrada bloccata dai numerosi pullman di cacciatori manifestanti, che non avevano potuto accedere all’EUR, causa il tutto esaurito? O la sfilata in Piazza Venezia? O quella al Circolo del Tennis?
Cui corrispondeva, sul piano locale, una costante presenza, attiva ed efficace. Ci siamo difesi, ma abbiamo anche attaccato. Alla fine abbiamo vinto su tutti i fronti, rintuzzando tutti gli attacchi degli anticaccia, degli animalisti, dei talebani dell’ambientalismo (e dei nemici di casa).
E’ vero che nel 1992 abbiamo ottenuto una legge così e così, ma di più, in quel momento, non si poteva pretendere (ricordiamoci che la legge fu approvata dal Parlamento alle tre e mezza di notte e subito appresso il Governo si dimise). Comunque, è mia opinione che se la legge 157 fosse stata attuata tempestivamente (un esempio di intempestività? La Regione F.V.G. ha adottato il Piano Faunistico Regionale solo quest’anno!) e razionalmente (nella norma e nello spirito) altri e più sostanziosi sarebbero stati i risultati. Ma la dilazione e la diluizione nel tempo, nonché la morte prematura del Presidente Rosini (e in Regione FVG del Presidente Pertoldi), (mai sostituiti da personaggi di altrettanto spessore ndr), perdite che hanno favorito la pigrizia delle Regioni, hanno ridotto al minimo i benefici possibili che la legge avrebbe potuto avere sul territorio.
Ai giorni nostri, poi, stiamo assistendo ad una progressiva regressione nella potenzialità e capacità della Federcaccia (le altre sono, al solito, solo di facciata, per inconsistenza numerica) di essere protagonista del destino dell’attività venatoria, tanto meno della gestione, nonostante pomposi accordi su tutti i fronti, che non hanno altro effetto che sminuire le difese. I più devoti federcacciatori, mantengono l’iscrizione per affezione, non per fiducia. Io tra questi.
Siamo alla deriva. Non abbiamo più validi punti di riferimento nei posti che contano.
Da parte nostra, manchiamo soprattutto nella comunicazione all’esterno.
Nonostante si sappia che quasi la metà della popolazione italiana è in qualche modo vicina all’ambiente venatorio ( vuoi per parentela, vuoi per amicizia, vuoi per apprezzamento per l’impegno sul territorio, vuoi per interesse – lavorativo, culinario o altro -), poco o nulla è stato fatto per acquisire maggior credibilità, informando al meglio i non cacciatori e contrastando perentoriamente ogni attività di denigrazione dell’attività venatoria. Sembriamo chiusi in una torre d’avorio, che perde sempre più di qualità e consistenza, contenti di un (poco) dorato isolamento. Più che una stazione di servizio, l’associazione venatoria sembra un club di eroi in pensione.
Se all’analisi del risultato dell’indagine demoscopica, svolta da Astra Ricerche per CNCN, fosse seguita un’attenta campagna di informazione, tesa a :
- far capire che la caccia non minaccia le specie in via di estinzione, anzi esistono limitazioni severe delle specie cacciabili e, inoltre, esiste una protezione ( ancorchè eccessiva) di specie che potrebbero tranquillamente essere gestite, come. Ad esempio, lo stambecco – che, come cacciatori, abbiamo collaborato a rinvigorire sulla Marmolada, dopo l’epidemia devastatrice- e la marmotta;
- dichiarare a gran voce che l’uso delle armi da parte dei cacciatori è a scarso rischio, visti i numerosi corsi di istruzione, formazione, ecc. nonché le numerose prove e gare di tiro ( e addestramento) a tutti i livelli, nonostante gli accidentali casi negativi e la presenza, come ovunque, di qualche sconsiderato;
- dimostrare che nell’attività venatoria non vi è alcuna violenza sulla natura: anzi, soprattutto localmente, si evidenzia una decisa azione di protezione sul piano culturale e istituzionale, nonché nella pratica quotidiana di collaborazione con l’ambito agricolo e silvo-pastorale;
- continuare a ripetere che i cacciatori sono persone perbene (fedina penale pulita, amanti della compagnia, anche se un po’ fanfaroni, sociali, non violenti e, volenti o nolenti, sempre accorti e prudenti anche nella vita quotidiana, vista la spada di Damocle sulla loro testa da parte dell’autorità di polizia (che anche su un semplice sospetto possono ritirare la licenza ndr);.
i benpensanti capirebbero. E consoliderebbero la loro stima nei nostri confronti.
Dell’opinione dei fondamentalisti, non ce ne può fregar di meno. Ma andrebbero contrastati e, se del caso, perseguiti, in ogni sede. I mezzi ci sono: internet è un mezzo grandioso, ma attualmente usato solo (e non sempre) per annunciare convegni, troppe volte ripetitivi, inutili e fine a se stessi.
In un consiglio nazionale FIDC di qualche tempo fa, il Presidente nazionale, premesso che “ i cacciatori hanno una capillare presenza sul territorio e nell’ambiente e, quindi, dovrebbero conoscere la fauna nella sua completezza e le necessità della stessa”, ha concluso: “ E’ auspicabile e non utopistico ipotizzare la costruzione di una rete per la raccolta dei dati di gestione!”. A quando?
Ecco un altro argomento, basilare per la trasparenza e, quindi, per la comunicazione. Conoscere e divulgare dati sicuri di consistenze, prelievi, migrazioni, malattie e quant’altro attinente all’attività venatoria, e gestionale in genere (ad esempio, danni emergenti e vincoli persistenti), potrebbero ricreare il clima di serena convivenza e l’antico apprezzamento per la figura del cacciatore. Ma bisogna fare, non solo dire.
Goffredo Grassani.