È attesa una nuova ordinanza regionale, mercoledì, che in qualche modo cercherà di interpretare e dove possibile allentare, soprattutto nel capoluogo ligure, le restrizioni attualmente in vigore ed emanate dal governo per limitare il diffondersi della peste suina. “Entro 36 ore diremo a sindaci e cittadini come comportarsi – spiega il governatore della Liguria, Giovanni Toti -. Le nostre saranno interpretazioni su quanto deciso dal governo. Poi valuteremo un abbattimento di massa dei cinghiali nella zona rossa e risarcimenti per attività colpite. Ma un vero e proprio quadro della situazione – prosegue Toti – lo avremo solo a fine mese dopo una ricerca delle carcasse nei boschi.
Nella nostra ordinanza non andremo comunque a contrastare quello deciso dal governo ma daremo nostre interpretazioni: ad esempio le zone boschive nell’area urbana (come a esempio il parco del Peralto, ndr) potrebbero essere rese aperte secondo una interpretazione di Regione Liguria”. Saranno massimo 10 mila i cinghiali che verranno abbattuti in Liguria da cacciatori liguri per limitare il diffondersi della peste suina. “Verranno fatte battute di caccia selettiva, senza l’utilizzo di cani. Ma le battute dovranno essere organizzate in maniera scientifica. Sia in una zona cuscinetto attorno alla zona rossa, sia all’interno della zona rossa stessa ma in un numero di comuni più ristretti di quelli che attualmente fanno parte della zona rossa stessa”, sottolinea l’assessore regionale con delega alla Caccia, Alessandro Piana.
“La popolazione di cinghiali presente in Liguria prima dell’inizio della stagione venatoria di quest’anno erano 80mila. Con la caccia ne sono stati abbattuti 18mila. Quelli che potrebbero essere abbattuti sono tra i 5mila e i 10 mila”. Il direttore dell’Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Angelo Ferrari, nel punto stampa successivo al vertice con la Regione spiega: “Le prossime due settimane ci diranno con maggior precisione quale sia l’area infetta. I monitoraggi sono partiti in Piemonte e in Liguria, ma abbiamo bisogno di tempo per conoscere meglio il virus: non sappiamo ancora il grado di patogenicità né la genotipizzazione del virus”.
“Più il virus sarà patogeno – spiega – più breve sarà la determinazione del focolaio”. Sull’origine della malattia, precisa, “possiamo escludere che arrivi dalla Sardegna. Potrebbe essere di origine balcanica”. Ferrari sottolinea che “non eravamo impreparati, dal 2019 sappiamo che questo virus circola, ma fino al 5 gennaio non avevamo riscontrato alcun caso nel nostro territorio. Non ci aspettavamo un focolaio così presto“. La vera preoccupazione, conclude, “è che il virus non faccia il salto dal selvatico all’allevamento perché metterebbe in fortissima difficoltà il mercato. Se resta tra gli animali selvatici, la situazione è critica, ma gestibile”. Il responsabile del servizio veterinario di Alisa, l’azienda ligure sanitaria, Roberto Moschi, aggiunge: “Con la collaborazione dei cacciatori e delle associazioni di trekking, stiamo organizzando delle squadre per entrare all’interno della zona infetta, in punta di piedi, senza armi e senza cani, alla ricerca degli animali morti.
Ci si aspetta una grande moria di cinghiali”. “In caso di rinvenimento di una carcassa – spiega l’esperto – il veterinario pubblico effettua sul posto il prelievo della milza, in condizioni di biosicurezza: gli operatori non devono avvicinarsi agli animali morti, ma fare la georeferenziazione con il cellulare. Se il virus viene riscontrato, si fa un ulteriore passaggio di conferma al laboratorio centrale dell’Istituto zooprofilattico a Perugia. Il tutto avviene nell’arco di tre giorni”. Moschi aggiunge che “il virus della peste suina è stabile e ci sono due genotipi, l’1 e il 2: quello trovato è di tipo 2 che ha un’estensione territoriale che copre dalla Cina al Belgio. Sta terminando il sequenziamento sul genoma del virus e, al termine di questa settimana, dovremmo sapere qualcosa di più preciso” (Il Secolo XIX).