Un attesa lunga 11 anni
Il vero porceddu può finalmente tornare sulle tavole nazionali ed europee con il via libera ai suini sardi che dopo oltre 11 anni potranno essere esportati fuori dai confini regionali. E’ quanto annuncia la Coldiretti esprime soddisfazione il voto favorevole alla proposta della Commissione europea per la revisione delle restrizioni imposte alla Sardegna per il contrasto alla diffusione della peste suina africana. Tali limitazioni riguardavano – sottolinea la Coldiretti – anche la macellazione di suini allevati in Sardegna e la lavorazione delle relative carni, nonchè la spedizione delle medesime e dei prodotti dalle stesse ottenuti, verso il restante territorio comunitario.
La piaga della peste suina
Uno stop duqnue anche per il ”“porcheddu” o “porceddu”, spesso italianizzato con il termine “porcetto”, che è un classico della cucina pastorale sarda e si ottiene dalla cottura lenta e allo spiedo su graticole di un maialino da latte di 4 o 5 chili di peso o di venti giorni, aromatizzato con mirto o rosmarino dopo la cottura. Era dall’11 novembre del 2011 infatti che – ricorda la Coldiretti – la Sardegna non poteva esportare suini (vivi o macellati) fuori dai propri confini con la peste suina comparsa per la prima volta nell’Isola nel ormai lontano 1978 nel sud Sardegna, giunta presumibilmente dalla Penisola Iberica attraverso scarti alimentari arrivati nel porto di Cagliari o all’aeroporto militare di Decimomannu e diffusasi poi nelle zone interne dell’isola con le transumanze.
Gli allevamenti sardi
La Sardegna oggi si presenta – secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati della Banca Dati Nazionale dell’Anagrafe Zootecnica – con 164mila capi e 12.900 aziende ed è la terza Regione per numero di allevamenti mentre scende al settimo posto per numero di capi. Il via libera è il risultato di anni di lavoro comune di Coldiretti con le pubbliche amministrazioni che occorre proseguire per superare i blocchi ancora presenti per far ripartire un settore che puo’ contare su aziende resilienti e innovative, molte delle quali giovani che nonostante tutto hanno investito con coraggio e creduto nel settore e oggi rappresentano un esempio virtuoso di allevamento in biosicurezza (fonte: Coldiretti).