Osvaldo Veneziano – Editoriale: Al momento di andare in macchina ci è giunta la notizia che la “Comunitaria” è stata approvata ed è diventata Legge dello Stato. Il prossimo, significativo, appuntamento sarà la stesura dei calendari venatori regionali.
Temiamo un’estate un po’ più complicata di quelle vissute per la definizione dei calendari precedenti. Le cause sono da ricercare nel metodo adottato dalla politica ed avallate da alcune associazioni venatorie nella trattativa che c’è stata. Salvo voler essere disonesti o ingenui al limite della stupidità, tutti sappiamo che il Governo, centrodestra in primis, e i Gruppi parlamentari hanno cercato l’intesa con gli ambientalisti (certo quelli che si ritiene influenzino concretamente l’opinione pubblica) sul testo che alla fine del percorso è stato votato da una ampissima maggioranza alla Camera e, al Senato, per l’approvazione definitiva, votato da PdL e Lega Nord con l’astensione dell’opposizione (e le sceneggiate cui abbiamo assistito?).
L’accordo che Maggioranza e Governo hanno cercato non è maturato di fronte ai cittadini, e così, oggi, gli ambientalisti hanno un largo margine per dire che non sono soddisfatti “per ora” e quindi daranno battaglia nelle Regioni. Senza demagogia avevamo la consapevolezza che occorreva dare risposte alle procedure d’infrazione e disciplinare nazionalmente le “deroghe” per i danni all’agricoltura. Si poteva fare diversamente come da atti parlamentari precedenti.
Il metodo scelto per i cacciatori così è stato fallimentare. Del cosa fare per non continuare ad essere strumentalizzati, forse dovremo ragionare seriamente. Ora che, con tempi e specie, anche per la conferma delle Direttive così come sono state pubblicate a gennaio in gazzetta, il capitolo sembra chiuso; gli onorevoli e i senatori ed i ministri in questa legislatura ritengono di aver già dato.
Serve continuare ad alzare la voce per rivendicare certi “contenuti” minoritari e lasciare la mediazione alla politica? Serve continuare a delegare ad alcuni parlamentari “sedicenti amici” le trattative o dobbiamo avere l’ambizione di trattare con i Gruppi politici nella loro interezza come hanno fatto in Francia?
Dopo anni di delusioni, a noi sembra più forte la seconda ipotesi. Come i fatti hanno dimostrato, anche le manifestazioni hanno bisogno di essere “contestualizzate”. Non siamo più negli anni ‘50 e ’60. Oggi la politica come dicono i suoi studiosi, è soprattutto rapporto diretto con “il Popolo”.
Ci piaccia o no ci sono i sondaggi, magari qualcuno migliore di altri, come quelli di cui dispone “Palazzo Chigi”. Aver sottovalutato le evoluzioni “della società” ha portato alla manifestazione del 6 settembre 2006 contro il decreto ZPS “Pecoraro” con la presenza della stragrande maggioranza delle associazioni venatorie, di parlamentari di varia appartenenza ed il risultato raggiunto è che quel decreto incriminato è stato sostanzialmente “fotocopiato” poi dal ministro On. Prestigiacomo.
L’ultima manifestazione del 2010, prima delle elezioni, ha prodotto il risultato dell’art. “43 famigerato” che diventerà legge.
Ci chiediamo: è una questione di numeri in piazza? Temiamo di no. E’ una questione di contenuti e rappresentanza oltre che di forme della comunicazione? E’ emblematica e di insegnamento la pubblicità della “Beretta” sui grandi quotidiani ove primeggiano cani look country e non scene di caccia e troppe armi. Intanto abbiamo visto con quali ambientalisti in realtà tratta il Governo e la politica; quelli che fanno opinione e producono consenso dimostrato.
Forse affrontare il tema del rapporto uomo, animale, natura, ambiente, nel 2010 ha bisogno di attente valutazioni sulla complessità della materia: le articolazioni del pensiero in campo sono tante e diverse per ciascuno e, difficilmente, possono trovare risposte con le riproposizioni di Comitati di Liberazione Nazionale di antica memoria pur se riveduti e corretti, o partiti dei cacciatori che è negli appuntamenti intervenuti, compreso l’ultimo della Comunitaria, hanno dimostrato la loro inconsistenza. Facendo un parallelo “meteo”, potremo dire: la loro temperatura “non pervenuta”.
Se il terreno del confronto culturale è quello della ruralità, il primo salto di qualità che dobbiamo fare è quello della rappresentanza: i cacciatori non sono il tutto, ma una parte della caccia.
Se è vero come è vero che siamo comunque una minoranza, altri sono i numeri che ci confortano e che fino ad oggi abbiamo ignorato. La gestione e la conservazione della fauna selvatica con finalità venatorie interessa almeno il 70% del territorio agro-silvo-pastorale: ATC, CA, Aziende faunistiche, zone di ripopolamento e cattura. La forza contrattuale, culturale, politica, sociale degli enti gestori è assai di più delle associazioni venatorie che pure già giustamente collaborano e si uniscono nelle Regioni, nelle Province, negli ambiti.
Costruire una federazione di ATC, CA, AFV, è partire “da tre”. I comitati di gestione già coinvolgono agricoltori e cacciatori (60%) enti locali, ambientalisti. Gli ambiti che operano correttamente hanno un economia positiva, esprimono “territori”, che sono una delle novità della rappresentanza che la politica viene accusata di trascurare. Le associazioni venatorie hanno paura di cimentarsi in questa sfida. Perché? Perché temono di perdere un potere che nel frattempo scema di ora in ora mentre guardano al loro “ombelico” e non comprendono che si aprirebbe una discussione anche nell’ambientalismo, quello che conta e che dovrebbe scegliere tra gestione e fondamentalismo, di fronte ad una proposta di interlocuzione unitaria.
Le Federazioni degli ATC, dei CA, delle Aziende Faunistiche avrebbe certamente contenuti e rivendicazioni importanti, diverse dalle attuali: uomini nuovi che invece di rappresentare tessere conquistate od anche “svendute” esprimerebbero comunità legate ai territori: opere e non parole. Il presidente dell’ambito che produce più ambiente e fauna, migliore caccia, dovrebbe presiedere la federazione. E’ questa caccia “sociale” la più spendibile perché cultura “sociale” ed è trasversale a destra e sinistra. Questo non significa un giudizio positivo sugli ATC e sui CA a prescindere; le associazioni dovrebbero rinnovare i loro rappresentanti quando squalificati, superando burocrazie inutili.
I presidenti di ATC dovrebbero pagare i danni di ripopolamenti inutili, fornire bilanci, far conoscere quanti animali cacciati a fronte di quanti comprati (mai più speriamo), documentare gli investimenti per ripristini ambientali finalizzati anche alla presenza di avi fauna migratrice, avere trasparenza sui danni. Questo sarebbe la forza della caccia unita che mostra i risultati e non la debolezza della concorrenza delle false promesse, metastasi del percorso per una unica associazione. Altro che modello francese di cui, chiuso il capitolo tempi e specie, resterebbero esclusivamente i costi. Mi piace ricordare una delle ultime importanti assemblee nazionali della FIdC nella quale il Presidente Giacomo Rosini parlando di qualità della caccia lanciò la sfida della gestione faunistica con l’obiettivo di avere ATC migliori dei Parchi nella produzione di ambienti e fauna. Un messaggio di realistica speranza mai raccolto.
Sul Corriere della Sera Sette del 22 aprile u.s. Stefano Disegni chiede “quale sarà il New Deal prossimo venturo?” Carlin Petrini non ha dubbi: “i contadini saranno i principali protagonisti della terza rivoluzione industriale, che partirà dai vostri villaggi, dalle vostre aziende, dalle vostre campagne”. Petrini e Slow Food così si rivolge loro durante la Terza Edizione di “Terra Madre”, incontro mondiale tra le comunità del cibo a contadini, pescatori, cuochi artigiani. Petrini e Slow Food sono riusciti a portare il dibattito sull’agro alimentare fuori dai salotti borghesi riportandolo dentro il cuore delle tradizioni popolari. Per non farci mangiare dal cibo bisogna farsi guidare anche da una salda vena umanistica, quella che insegna ad interrogarsi sul bene e sul male, non a demandarlo ai partiti, ai mercati, all’industria.
Questa ultima considerazione si adatta bene a comprendere l’approccio che dovremo avere ai nostri problemi per non rimanere nel passato.
Osvaldo Veneziano