Il 21 marzo di ogni anno ricorre la Giornata internazionale dei boschi e delle foreste, istituita per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa preziosa risorsa in pericolo a livello planetario e che offre all’uomo importanti funzioni vitali. A livello mondiale purtroppo la situazione delle nostre foreste si aggrava di anno in anno per il problema del disboscamento delle aree equatoriali e tropicali, per gli incendi diffusi, per la pressione demografica e per il suo depauperamento in genere. Si stima infatti che 12 milioni di ettari di bosco vengano persi ogni anno a livello planetario. Problemi ulteriormente amplificati dal cambiamento climatico, che rende ulteriormente più vulnerabili i nostri boschi per le mutate condizioni stazionali, a sua volta è accentuato dallo stesso disboscamento in quanto viene meno la capacità di stoccare CO2 con la fotosintesi.
La riduzione delle foreste e dei boschi contribuisce ad aumentare il rilascio dei gas serra nell’atmosfera nell’ordine del 12-20% del totale delle cause. Per responsabilizzare e impegnare le nazioni a contrastare il declino dei boschi vi sono state varie convenzioni internazionali – tra cui la più recente sul clima (Accordo di Parigi del 2015) – che riconoscono il ruolo fondamentale della protezione dei boschi esistenti e del loro incremento per proteggere l’uomo dalle problematiche ambientali causate dal cambiamento climatico. Anche a livello europeo si è fatto qualcosa in merito con la Green Deal, che affronta la questione forestale attraverso la “Strategia Biodiversità 2030”.
Tale disposizione prevede azioni di tutela e protezione di vaste aree naturali europee, il ripristino delle superfici degradate e la messa a dimora di ben 3 miliardi di nuovi alberi. Tutti questi interventi e azioni sono chiaramente importanti ed essenziali a livello mondiale e continentale, tuttavia è necessario scendere a livello locale e valutare caso per caso quali sono realmente le politiche da mettere in campo per le varie realtà forestali. La situazione è infatti diversa fra continente europeo e aree tropicali. L’Italia in particolare è a tal riguardo un caso emblematico in questo senso: in controtendenza rispetto il resto del mondo, in quanto le superfici boscate sono da noi in aumento continuo ormai da diversi decenni. Dai dati ISTAT (2020) risulta infatti che nel nostro Paese ci sono 11,4 milioni di ha di superfici forestali, che equivalgono a circa il 40% della nostra superficie.
Quel che è sorprendente di tale dato è il suo costante aumento: negli ultimi 5 anni i boschi sono aumentati del 2,9% mentre negli ultimi 30 anni sono aumentati addirittura del 25%. In pratica abbiamo raggiunto una superficie forestale così estesa che non si riscontrava da alcuni secoli. Purtroppo, questi dati non possono essere letti in modo pienamente positivo in quanto gran parte di questi aumenti di superfici boscate sono dovuti a riforestazioni naturali conseguenti l’abbandono di altrettanti territori agricoli. Superfici agricole che vengono spesso abbandonate nelle aree più marginali del nostro territorio come la collina e la montagna. Territori questi ultimi già ad elevata boscosità e che con l’abbandono dell’uomo rischiano anche la perdita di identità culturale, di paesaggio e anche di varietà ambientale e conseguente biodiversità, oltre a determinare conseguenti problemi sociali per perdita di occupazione e di presidio del territorio.
I pascoli di montagna sono considerati aree pregiate, spesso inserite nei siti Natura 2000 e necessitano quindi di conservazione nel tempo. Un aumento di nuove superfici boscate sarebbe invece auspicabile in altri territori nazionali, ad esempio le aree di pianura e suburbane, dove spesso sono mancanti o assai poco rappresentate. Tutti i nostri boschi meriterebbero invece un’adeguata gestione che ne valorizzi gli aspetti ambientali e funzionali e al contempo incentivi anche l’economia del legno, che nel nostro Paese è sicuramente poco sviluppata e sostenuta. Solo con una attenta selvicoltura si possono valorizzare al meglio le funzionalità e le redditività dei nostri boschi. Infine, vanno valorizzate tutte le molteplici funzionalità di un bosco e tra queste c’è sicuramente la risorsa faunistica.
Nell’ecosistema forestale non può essere tralasciata la sua componente di fauna selvatica in quanto ne fa parte appieno e ne segue tutti i suoi cicli. Ricordiamo infatti che gli interventi antropici nel bosco influenzano direttamente le categorie faunistiche forestali e quindi la selvicoltura stessa non può fare a meno di considerarle nell’ambito delle scelte di gestione. Ci sono inoltre obblighi di legge che richiedono interventi attivi per la tutela delle specie di interesse comunitario nelle aree boschive di Rete Natura 2000, ma ci sono anche categorie faunistiche che incidono sull’evoluzione del bosco (come gli ungulati) e che quindi devono essere valutate adeguatamente. Quello che auspichiamo è che le nostre foreste vengano sempre considerate e valutate nella loro integrità di componenti costruttivi, in quanto solo un bosco ricco di tutte le sue componenti, tra cui la fauna selvatica, può definirsi tale.