Da troppo tempo le offese e le aggressioni verbali sui social media sono diventate la norma piuttosto che l’eccezione. Il confronto e la presentazione di opinioni e posizioni diverse che dovrebbero essere basate sull’oggettività e sui fatti sono al contrario il più delle volte sostituiti da insulti, imprecazioni e minacce, anche fisiche. Lo sanno bene i cacciatori italiani, costretti a subire questo trattamento senza ottenere spesso nemmeno che le piattaforme social blocchino gli utenti più aggressivi. Un tema su cui Federcaccia aveva già posto la propria attenzione, che vede ora confortata da una notizia di questi giorni. In Germania Internet non rappresenta più un “vuoto legale”: chi posta sul Web non deve più sopportare gli abusi di linguaggio online. Una cacciatrice che si fa chiamare Waidfräulein, “ragazza della foresta”, ha pubblicato la storia e una foto di una caccia alla volpe su Facebook nel marzo 2018.
In poche ore il post aveva attirato più di 2.000 commenti di odio e oltraggi. Waidfräulein non ha accettato gli insulti, rivolti per lo più in modo anonimo. Assistita dalla Deutscher Jagdverband, l’Associazione Tedesca dei Cacciatori e dall’avvocato Heiko Granzin, ha intrapreso più azioni legali. Durante il processo è stato necessario superare un ostacolo particolare. A parte la legge tedesca, la sede europea di Facebook è a Dublino e solo l’ufficio del pubblico ministero irlandese può richiedere indirizzi IP e nomi nel corso di un’indagine penale su Facebook. Così è successo, il procuratore irlandese ha preso sul serio la questione e ha cercato i nomi e gli indirizzi IP degli autori di reato, alcuni dei quali pubblicati con pseudonimi. Anche i media tedeschi hanno dato ampio risalto alla questione.
E ora, due anni e mezzo dopo, il caso di Waidfräulein è giunto al termine e oltre alle intimazioni di cessare e desistere dal rivolgere commenti ed espressioni offensive, i tribunali hanno emesso più di una dozzina di condanne penali e civili, mentre sono in corso ulteriori procedimenti. I commentatori dell’odio pagheranno pesanti multe e alti costi. Un colpevole, che ha usato un termine dispregiativo per l’organo sessuale femminile, dovrà pagare 3.800 euro in spese processuali, spese legali e risarcimento. Termini denigratori come “cagna” e “feccia” hanno fruttato agli autori delle sanzioni di 3.300 euro ciascuno. Altri devono effettuare pagamenti compresi tra 1.000 e 2.000 euro. Lo scorso giugno il Bundestag tedesco ha approvato una legge contro l’estremismo di destra e i crimini d’odio: gli insulti sui social media saranno puniti severamente, inclusa la reclusione fino a due anni.
Chiamare un cacciatore “malato” o “assassino” non potrà più essere coperto dal velo della libertà di espressione e le minacce alla vita e alla salute sono reati penali che spingeranno il pubblico ministero a intervenire. In Germania quindi i social non si muovono più in un vuoto legislativo dove è il gestore della piattaforma a decidere cosa è condannabile o meno. E in Italia? Purtroppo segnalazioni, denunce ed esposti sia a livello personale che di associazione su questo tema cadono normalmente nel vuoto e sono rarissimi i casi in cui si riesce ad ottenere giustizia. Per questo motivo la Federazione sta preparando una proposta di legge mirata a cambiare la situazione ampliando le fattispecie sanzionate dal codice tutelando di fatto non solo i cacciatori, ma tutti coloro che si trovano a dover subire manifestazioni di odio e offese per le proprie attività e opinioni legittime, così come già giustamente avviene ad esempio per l’origine etnica, il credo religioso, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, la disabilità.
“Ottenere la tutela di pensiero e di azione, nei limiti consentiti dalla legge – ha dichiarato il presidente nazionale Massimo Buconi – non è una rivendicazione corporativa, ma una vera e propria battaglia per la libertà nella quale intendiamo impegnarci con forza. Non è più tollerabile il clima di odio che si è creato e si sta diffondendo in modo allarmante attorno alla caccia e, in tono per ora minore ma sempre più virulento, ad altre attività tradizionali tipiche della ruralità senza che nessuno sembri prestare attenzione o non possa agire per la mancanza di strumenti legali specifici. Ci aspettiamo di trovare su questo tema nei parlamentari di tutti gli schieramenti e nell’opinione pubblica non ideologizzata la stessa sensibilità e attenzione che si è giustamente manifestata di fronte ad altre forme di discriminazione. È il momento di fare qualcosa e farla subito. E Federcaccia lo sta facendo”.