C’è un clima generalizzato di restrizioni nella concessione e nel rinnovo del porto d’armi per il fucile da caccia, e ancora di più per la difesa personale. Capita spesso (lo leggo nei messaggi che mi arrivano su FB e sul sito del Canale, ma anche sui giornali di categoria e nella posta dei lettori dei quotidiani di provincia) che a qualche cacciatore quella tal questura non rinnovi il porto d’armi. Perché? Per un vecchio neo, del quale, magari si sono accorti soltanto ora. Faccio un esempio. Alle mie cacciarelle nella Tuscia viterbese incontro sempre un vecchio amico. Quest’anno, per la prima volta, era senza fucile ma andava lo stesso alla posta. E che gli fai, al cignale? Gli dici le parolacce? Sai, mi risponde, non mi hanno rinnovato la licenza. E che hai fatto? Niente. E’ uscito fuori che quando avevo 20 anni mi beccarono in una bandita a raccogliere funghi. Mi fecero il verbale, pagai la multa e tutto finì lì. Per quarantacinque anni ho continuato ad andare a caccia, con il porto d’armi regolarmente rinnovato, di sei anni in sei anni. Quest’anno mi hanno negato il rinnovo che, come mi hanno detto, non è un diritto del cittadino ma viene concesso a discrezione del questore. Chiedo perché non mi è stato rinnovato. Non è stato facile avere la risposta. Poi gli è scappato detto: per quella vecchia storia dei funghi. Manco me la ricordavo più. Dico: ma ho pagato e poi sono andato sempre a caccia. Male. La storia ci è arrivata solo oggi. E tu? Ho messo l’avvocato, ma ci spero poco. Atro caso esemplare: la questura di Bolzano ha rifiutato il rinnovo a un tizio che vent’anni fa fu sorpreso dalla Forestale e tagliare un abete per portarlo in casa e trasformarlo in albero di Natale. Anche qui, verbale, multa pagata, vent’anni di caccia senza problemi. Sono casi estremi, ma non infrequenti!
Allora, cominciamo a fare un po’ di chiarezza nella giungla normativa. L’emissione (anzi, la concessione) del porto d’armi è regolamentata in Italia dal vecchio Testo Unico della Legge di Pubblica Sicurezza n.773/1931 ove agli articoli 11 e 43 vengono specificati i possibili motivi ostativi al rilascio o al rinnovo di questo documento. Secondo l’art.11, tali autorizzazioni di polizia devono essere negate a chi ha riportato una condanna a tre anni per reato non colposo, e non abbia ottenuto la riabilitazione; agli ammoniti, ai coatti, ai delinquenti abituali; a chi ha riportato condanne per violazioni dell’ordine pubblico, violenza, furto, rapina, estorsione, sequestro di persona, o per violenza e resistenza alla forza pubblica. Ma, attenzione: oltre a questi delinquenti, il porto d’armi può essere negato anche “a chi non può provare la sua buona condotta”. Ecco, dunque, che qui entra in campo la discrezionalità del questore. L’art.43 ripete più o meno le stesse cose, ma aggiunge i disertori in tempo di guerra e quelli che si sono macchiati del reato di porto abusivo di armi. Ma anche questo articolo ribadisce che la licenza va negata “a chi non può provare la sua buona condotta e non dà affidamento di non abusare delle armi”. Ci risiamo. E chi decide? Sempre il Questore. Se non gli dimostro la mia buona condotta o se gli sembra che potrei non fare buon uso delle armi, non mi concede il rilascio o il rinnovo del documento. Ecco perché, a formare questa opinione, basta un vecchio verbale per aver raccolto funghi in una bandita o perché aver portato l’albero di Natale ai bambini. Posso essere l’uomo migliore del mondo, incensurato e timorato di Dio, ma se il questore scopre questi peccatucci d’antan, del resto scontati, sono fottuto.
Le diverse sezioni del Consiglio di Stato, in tempi diversi hanno cercato di mettere un po’ d’ordine, ma hanno accresciuto la confusione con sentenze in contrasto fra loro, che rappresentavano due diverse correnti di pensiero: una, assai restrittiva, che non tiene conto dell’avvenuta riabilitazione e l’altra che afferma sempre di più il ruolo della discrezionalità del questore. Tutto questo produce insicurezza giuridica. Per questo, nel 2014 il ministero dell’Interno ha chiesto al Consiglio di Stato un parere chiarificatore, che è arrivato col numero 3257/14: le questure devono attenersi all’interpretazione più restrittiva. Ecco perché due anni fa tanti porto d’armi non sono stati rinnovati! Ovviamente, molte delle persone colpite dalla misura hanno adito le vie legali. Nel 2015 il Consiglio di Stato, con sentenza n.1072 ha riaffrontato la questione affidando di nuovo al buon cuore del questore il compito di decidere nei casi dubbi. Ma in caso di riabilitazione viene meno l’automatismo relativo alla non concessione. Il che non significa che la condanna, per quanto remota e superata dalla riabilitazione, perda la sua rilevanza in senso assoluto “ma può semmai essere posta a base di una valutazione discrezionale”. Da parte di chi? del questore. Di fatto però le questure continuano ad attenersi al precedente parere- Ecco perché continuano a non accogliere istanze di rinnovo.
Una semplice legge risolverebbe questo problema che risale al 1931. Farebbe chiarezza e restituirebbe a tutti noi, finora trattati come sudditi in questa e in altre situazioni, la dignità di cittadini. Trovo grottesco che in più di un’occasione il Consiglio di Stato abbia contraddetto se stesso. Ma trovo altrettanto grottesco che, nel migliore dei casi, si debba sperare nella buona impressione che possiamo aver fatto al questore. Questa non è democrazia, né in un caso né nell’altro. Una buona legge può esprimersi con chiarezza, senza sbatacchiare il cittadino fra atteggiamenti restrittivi e la discrezionalità di un questore. Se il porto d’armi è un diritto, dobbiamo sapere con certezza a chi e perché verrà negato. E ancora, un diritto non può essere una gentile concessione dovuta all’umore o alle personali opinioni di un funzionario dello Stato.
Vediamo di dare agli interessati che si sono visti rifiutare il rinnovo, alcune istruzioni d’uso. Si può mettere tutto nelle mani di un avvocato. Ma i costi sono elevati: tra i 5 mila e gli 8 mila euro, tra spese legali e processuali. Si può presentare ricorso alla questura entro dieci giorni dalla comunicazione che recita “è in corso di valutazione l’opportunità di non accogliere l’istanza”, e affidarsi alla discrezionalità e al buon cuore del questore.
Ma ‘sto dito; in quale occhio lo ficco?
Bruno Modugno
MA ALLORA ANDATE A FA…