La Nikon, celeberrima azienda fotografica giapponese, “strizza l’occhio ai cacciatori” e gli animalisti insorgono bersagliandola di polemiche.
Se aprite una qualunque rivista di fotografia ambientalista o un magazine di grande fama, come può essere il National Geographic, vi accorgerete che la maggior parte delle magnifiche fotografie che potete ammirare è stata scattata con una macchina Nikon. D’altronde “la Nikon”, negli ultimi decenni, è sempre stata un leader assoluto nel campo della fotografia professionale e amatoriale, contrastata dalla Canon, sua eterna rivale, almeno nel campo della caccia fotografica e della fotografia paesaggistica. La Nikon dunque era diventata un po’ il sinonimo della caccia fotografica, dello scatto che immortala il paesaggio perduto, il fiore ormai scomparso, la cascata che una diga moderna farà scomparire, un simbolo strettamente legato alla natura e un chiaro segnale di un suo coinvolgimento nella sua conservazione.
Ora la grande azienda giapponese è costretta a subire un’ondata di violente polemiche, da quando ha messo sul mercato mirini ottici, studiati per i fucili di chi pratica caccia grossa in Africa o America. Si chiama “Monarch African” il dispositivo di mira che si adatta ai fucili usati per uccidere grosse prede. Nel catalogo dove compare il dispositivo, il marketing della Nikon scrive che “è perfetto per chi cerca una pericolosa avventura nel continente nero”.
Nello stesso catalogo la Nikon descrive se stessa come chi è «al centro della natura». Accanto alla fotografia di due orsi polari afferma: “La natura è piena di momenti stupendi che vanno catturati prima che scompaiano per sempre”. La frase è volutamente ambigua per alcuni, come Stefano Unterthiner, vincitore del Wildlife Photographer of the Year in 2008 (concorso mondiale di fotografia naturalistica), che critica aspramente questo connubio tra la Nikon e la caccia. “Ho usato una Nikon fin da quando ero un ragazzino – scrive Stefano – affascinato dalla natura e dalla vita selvatica. Ho sempre creduto che Nikon fosse un’azienda vicina alla natura, ma mi sbagliavo. Supportare la caccia grossa e i suoi trofei è un pessimo messaggio per chi ama fotografare la natura che ha bisogno di rispetto e non di fucili che sparano a grandi prede”.
“L’Independent”, uno dei più prestigiosi quotidiani inglesi, ha fatto pervenire all’ufficio stampa britannico della Nikon alcune domande a proposito, ma l’azienda si è rifugiata dietro un “no comment” ben poco gradito dai “nikonisti”. Negli Usa la Nikon tenta di difendersi affermando che ha prodotto mirini ottici per fucili che cacciano predatori nocivi come il coyote oppure i comuni tacchini selvatici, ma in realtà i suoi telescopi per armi venatorie finiscono in Africa dove impera il business della caccia grossa. Il Sud Africa guadagna 100 milioni di dollari l’anno dai cacciatori (designati come “ecoturisti”) che provocano la morte di 54mila animali.
Negli ultimi, 30 anni i cacciatori di leoni ne hanno dimezzata la popolazione. I rinoceronti erano 160.000 nel 1970. Oggi sono 10.000 a causa della caccia. Joe Duckworth, presidente della Lega contro gli Sport Crudeli ha scritto “la caccia grossa massacra decine di migliaia di animali, molti dei quali sono in via d’estinzione”.
Se i “nikonisti” brontolano o si arrabbiano pesantemente con la loro casa madre, sorridono i “canonisti”. Nelle riviste più prestigiose il marketing Canon manda questo messaggio: “Come vedete noi aiutiamo a costruire un mondo migliore. Aumentare gli investimenti per le specie in via d’estinzione è una delle vie attraverso cui Canon si muove”. A buon intenditor…
3 aprile 2013
Fonte: IlGiornale