Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio si è espresso in maniera definitiva sul caso di un uomo che diversi anni fa si era rifiutato di fornire le proprie generalità a una guardia venatoria volontaria. La vicenda risale al 1990, dunque quasi tre decenni fa: secondo i giudici, il comportamento del cacciatore è un motivo sufficiente per ritirare il porto d’armi. In pratica, la posizione del TAR è la stessa del Ministero dell’Interno, ma ci sarà anche un altro ricorso, l’ultimo in ordine temporale, nello specifico al Consiglio di Stato.
Il primo divieto è proprio quello di 27 anni fa, ma l’istanza del cacciatore è stata respinta nel 2007 e i giudici amministrativi hanno confermato le due impostazioni. Tra l’altro, l’uomo è stato condannato a sei mesi di reclusione e a pagare 200mila lire di ammenda a causa della lite con la guardia venatoria.
Il Tribunale laziale ha spiegato come non sia importante il fatto che siano trascorsi cinque anni senza altri delitti, circostanza che farebbe estinguere il reato. Il cacciatore è stato giudicato inaffidabile, dunque non può mantenere la licenza di caccia, tenendo anche conto del tipo di reati che sono stati contestati.