Nella vita di un appassionato di armi appaiono in sequenza le diverse tipologie corte e lunghe e fra queste ultime s’incunea sempre il periodo del fucile a leva: solitamente balza agli onori dello studio e della ricerca mosso da diversi fattori non sempre ben definiti, ma sta di fatto che è difficile passare indenni, quasi che il virus benefico (oggi così prepotentemente alla ribalta della cronaca in una versione tutt’altro che favorevole) debba per forza svilupparsi per lasciare in seguito il posto ad altro. Tuttavia la vaccinazione concede dei ritorni di fiamma e oggi siamo a parlarne a seguito di un’esperienza decisamente appagante. Dopo i fucili da caccia a canne lisce e quelli con canna rigata dove si insinuano e si affiancano i modelli da tiro, si va a parare con insolita determinazione sulle armi corte e qui per noi l’avevano fatta da padrone le pistole di tipo militare con la chiusura geometrica affiancate da quell’altro monumento storico rappresentato dalle pistole a rotazione.
Proprio su queste ultime il dualismo fra Colt e Smith & Wesson aveva aperto molte strade e accresciuto parecchio la conoscenza, incrementata in seguito dal marchio Ruger con i suoi esemplari tra la classica riproposta della Colt ’72 e la modernità dello Speed Six. Forse proprio i revolver avevano aperto la porta alle carabine a leva, allora ovviamente Winchester, il marchio alla portata mentale anche di chi era ai primi approcci, a cui solo con una certa maturazione nella conoscenza storica e meccanica si affiancava la Marlin. Arriviamo proprio a questo marchio, parimenti noto e di poco seguente, come periodo di apparizione e poi di sviluppo, al Winchester, logica evoluzione dell’Henry originario: le porte del Far West si erano aperte, anzi spalancate e la pratica si era dipanata su alcuni modelli. Poi la direzione intrapresa fra il tiro di poligono e quello di caccia aveva chiaramente indicato un orientamento diverso: pochissimi interventi sul cinghiale, il camoscio come obiettivo più che primario affiancato poi nel corso degli anni, e della disponibilità nelle nostre zone, degli altri ungulati aveva indirizzato su fucili rigati con il classico otturatore girevole scorrevole in cui erano camerate cartucce di altra fatta.
Nel frattempo il panorama non rimaneva fermo sulla nostra usuale inquadratura, ma ampliava possibilità diverse con un’espansione del cinghiale che solo in un paese come il nostro si arriva a considerare una calamità mentre altrove viene elevata a formidabile risorsa da far fruttare. Lasciamo da parte tali amare considerazioni e focalizziamoci sull’insidia alla bestia nera che, vista in negativo o in positivo, è tuttora una vivace realtà. Diamo quindi una sintetica panoramica dei fucili che si possono impiegare per questa specifica caccia.
Dalle doppiette a canne lisce al semiauto dotato di canna slug provvista di mire metalliche o con il montaggio di ottiche di vario genere si arriva al rigato semiauto o ai movimenti in linea. A fianco di queste soluzioni molto europee il vecchio West non ci sta ad essere messo in disparte e così il fucile a leva torna a farsi sentire. Fra le diverse prerogative di cui debbono disporre i fucili da cinghiale spicca la celerità di riarmo e il poter disporre di una cartuccia con una bella secchiata di Joules cedibile in congrua misura sul selvatico di cui tutti conoscono la vitalità e la resistenza ai colpi. E’ vero che i semiauto a canna rigata servono magnificamente allo scopo, ma non sono graditi in tutti gli ambiti venatori per cui occorre trovare una seconda soluzione che magari non sia solo tecnica, gli straight pull sarebbero già lì pronti all’impiego, ma che conservi quel po’ di fascino che regala una caccia condotta per conseguire il risultato insieme al modo di conseguirlo.
Abbiamo detto della celerità nel riarmo: con i fucili a leva non è cosa proprio immediata e occorre un po’ di paziente allenamento per eseguire magistralmente l’operazione senza staccare il calciolo dalla spalla facendo compiere al fucile forti digressioni dalla linea di mira e quindi dal bersaglio in corsa; insieme è necessario trovare il dito di scatto esattamente sul grilletto, quando si è terminata l’operazione, pronti a premerlo e non a strappare. La massa complessiva contenuta, l’equilibrio dato dal peso maggiore centrato fra le due mani, la dimensione ridotta grazie alla canna corta, la spallatura veloce si rivelano elementi assai favorevoli per una punteria istintiva e un brandeggio, per seguire la corsa del selvatico, altrettanto naturale: l’allenamento in un poligono dotato dell’impianto di Cinghiale Corrente consentirà di padroneggiare tutti questi elementi e, massimamente, di azionare la leva di riarmo con la dovuta scienza e l’auspicata rapidità. La scelta del calibro sarà più o meno favorevole a questa funzione essenziale: una cartuccia molto potente come la storica .45-70 Gvt. o la ben più recente .444 Marlin della stessa Casa, previste per modelli similari, darà maggior rinculo rappresentando il fattore negativo, accompagnato dalla positività di un potere lesivo di ottimo livello anche alle massime distanze entro cui si ingaggia un cinghiale.
Per questa prova abbiamo scelto una cartuccia che diverse diecine di anni fa era piuttosto usata dai primi cinghialai favorevoli alla canna rigata per poi andare in desuetudine surclassata dalle tradizionali cartucce da carabina con la .30-06 Sprg. e la .308 Win. a far da riferimento e il valzer dei magnum come il .300 e il .338 entrambi di Winchester per assestarsi infine sulla vecchia Europa con il 9,3×62 di Otto Bock: la .44 Mag., “nata nel 1955 ad opera di Elmer Keith e di quel gruppo di fanatici della rivoltella super potente” (cfr. F.C. Barnes nel libro Cartucce trad. italiana di Albertelli) viene camerata nei revolver e nei fucili a leva dal momento del suo apparire conservando alcune buone prerogative insieme a una limitazione.
Partiamo da quest’ultima: la carica valida per un revolver e la pesante palla da 240 gr esprimono in una canna lunga tra 50 e 60 cm una V/0 di circa 525 m/sec con 225 kgm di energia, circa quello che offre la classica .30-30 Win. con la differenza di una traiettoria molto curva e un rapido decadimento della velocità. Di molto positivo troviamo la massa, la sezione retta, la densità sezionale della palla solitamente semicamiciata e a punta cava: quel che ci vuole sulle brevi distanze per lucrare un apprezzabile potere d’arresto. Sottolineiamo sulle brevi distanze in cui ci si gioca tutto sposando la vecchia regola inglese di proiettile pesante e a bassa velocità: di certo qui l’effetto shock idrodinamico è un po’ aleatorio, per non dire proprio assente, ma in un ambito che spannometricamente possiamo indicare nella cinquantina di metri questa cartuccia è ancora in grado di assicurare delle belle soddisfazioni; aggiungiamo che il rinculo, così esuberante in un revolver, in questa Marlin diviene una cosetta di signorine (quelle degli Anni 60) e anche tale fattore ha i suoi vantaggi. Riteniamo pratico affidare alle didascalie delle immagini le spiegazioni tecniche, mentre qui riassumiamo le sensazioni provate nelle diverse sessioni di tiro.
Nel poligono di Carrù abbiamo condotto diverse prove: la prima sparando da seduti a 50 m con il solo appoggio anteriore e la mano debole posta sotto al becco del calcio, impiegando le mire metalliche con la diottra e il mirino prismatico. Dopo aver adattato l’occhio e l’occhiale al foro stenopeico, fortunatamente molto ampio, abbiamo messo un po’ di colpi in giro prima di capire che, alla distanza prescelta, del mirino dovevamo prendere solo la minima porzione apicale. In tal modo siamo riusciti a chiudere un paio di rosate che sarebbero state utilissime su un selvatico. Avendo poi a disposizione il recente punto rosso della Kahles non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di montarlo sulla pratica guida tipo Picatinny: lunga un tot… anche due… ha permesso di posizionare lo strumento ottico alla distanza confacente al nostro occhio fornendo non solo una precisa visuale del puntino luminoso ma insieme una panoramica ragguardevole di quel che stava intorno.
Così ci siamo impegnati sul Cinghiale Corrente, una delle recenti novità di Giorgio Rosso a Carrù (CN) e anche qui abbiamo conseguito dei risultati più che soddisfacenti per le nostre capacità. In mezzo alle diverse serie dove sono state scattate foto e girate riprese cinematografiche, siamo riusciti a inceppare il Marlin posizionando male una cartuccia nello sportellino King del serbatoio tubolare. Qualche ingegnosità, la punta di una lama robusta impegnata nel collarino del bossolo e la faccenda si è risolta: fortuna che in quei momenti non passavano cinghiali. A conclusione delle prove abbiamo riosservato il fucile notando come negli States la religione dei lever action ne perpetui la produzione, non solo, ma consenta quelle digressioni dall’ortodossia che vedono l’impiego dell’acciaio inox e l’adozione del legno laminato, quando non addirittura del materiale sintetico. I puristi avranno sempre a disposizione gli oggetti di culto con allegata immagine di John Wayne, mentre gli innovativi troveranno più confacenti alla loro indole quelli, come il Mod. SBL, in linea con una certa modernità di aspetto. Sia però ben chiaro che la meccanica a leva, specie nell’edizione Marlin che già nell’800 aveva migliorato e non di poco i primordiali Winchester, rimane solida e affidabile, legata idealmente alle origini come il lezzo dei bovini, l’odore dei cavalli, l’afrore dei mandriani e il tonitruante galoppo dei sessanta milioni di bisonti della mitica mandria delle Grandi Pianure.
L’autore ringrazia:
la ditta Paganini di Torino per la messa a disposizione del fucile Marlin SBL
il Sig. Josef Kampfer della Kahles Italia per il Kahles Helia R.D.
Giorgio Rosso del poligono di Carrù (CN) 347 96 92 677 per la gentile accoglienza e la cortese disponibilità degli impianti
Costruttore: The Marlin Firearms Co. – Ilion – NY – (USA)
Distributore: Paganini – Torino – www.paganini.it
Modello: 1894 SBL
Calibro: .44 Rem. Mag. o .44 Special
Tipo: carabina a leva con otturatore prismatico scorrevole
Castello: in acciaio con apertura di espulsione laterale
Canna: lunghezza 42 cm – 6 righe del tipo Ballard con passo 1/38”
Alimentazione: magazzino tubolare fisso da 6 cartucce (+1 in canna)
Congegno di scatto: azione diretta con grilletto singolo
Estrattore: a gancio con movimento pivotante
Espulsore: puntone di contrasto incassato nel castello
Mire esterne: in acciaio con brunitura nero opaca antiriflesso composte da diottra su coulisse regolabile nei due sensi – mirino a prisma con riga verticale bianca – base tipo Picatinny/Weaver per ottica
Sicurezza: mezza monta del cane – pulsante a due posizioni sulla destra del castello – inoltre sicura automatica data dal disassamento del codolo del percussore e blocco dello sgancio ad arma non chiusa
Calciatura: in due pezzi ottenuta da legno laminato – calciolo Soft Tech™
Peso: 2.900 g