La magia della Val d’Aosta, ove osano aquile, gipeti, camosci e stambecchi. Tutto il fascino della montagna racchiuso in questa valle al confine con il Parco del Gran Paradiso
Era metà settembre quando mi chiamò l’amico Luigi per chiedermi se mi avesse fatto piacere cacciare il camoscio nella sua riserva in Val d’Aosta. Chiaramente ho accolto con entusiasmo l‘invito perciò ci accordammo per il fine settimana del 21 e 22 novembre, periodo di massima attività amorosa del camoscio. La sera del 20 novembre arrivo a Rhemes Notre Dame, e precisamente nella piccola frazione del Pellaud; qui mi aspettano il mio ospite Luigi, con il figlio Leone, torinesi doc, concessionario della splendida riserva ove mi accingo a cacciare. Al mio arrivo avevano già provveduto ad accendere, oltre al riscaldamento, anche camino e stufa a legna.
Già entrando in casa si respirava odore di caccia e di montagna con molti trofei di camoscio, quadri di caccia e un trofeo di stambecco (rigorosamente frutto di ritrovamento), che arricchivano le pareti: ognuno di questi trofei ha una sua storia ed è indelebilmente impresso nella memoria di chi l’ha prelevato. Verso le otto di sera arrivano i guardiacaccia che ci accompagneranno il giorno successivo. Il capo guardia Noel che andrà con Luigi nel fondo valle ed Emilio che verrà con me e Leone in una zona chiamata Felumaz: appuntamento alle otto a Lor. Si parla, naturalmente, di camosci, della necessità di completare il piano d’abbattimento, delle regole e leggi che governano l’attività venatoria che spesso per noi cacciatori sono incomprensibili.
Il discorso cade, quasi inevitabilmente, sugli stambecchi e sul divieto di prelievo considerato dai più ormai anacronistico. Dopo una buona cena fissiamo i dettagli per l’appuntamento della mattina seguente. Alle otto, puntuale, Emilio, ci aspetta nel posto prefissato; facciamo ancora un paio di chilometri con la macchina e ci fermiamo vicino a una baita ove finisce la strada. Già dalla macchina vediamo il primo camoscio, un giovane maschio intento a brucare poco più in basso di noi. Leone ed Emilio decidono di seguire il sentiero per entrare in una vallata ove ritengono esserci un importante branco di camosci. Dopo circa mezz’ora di cammino, complice la splendida giornata, il sole incomincia a scaldarci e a breve ci ritroviamo a camminare in camicia: proprio durante una di queste soste per lo «spogliarello », un’aquila ci sorvola a non più di venti metri d’altezza, e veniamo ancora una volta conquistati dall’imponenza e dalla bellezza del predatore alato. Ancora pochi minuti di salita e scorgiamo sulla nostra sinistra i primi camosci: sono a circa quattrocento metri di distanza; tra essi c’è una vecchia femmina con un corno solo, ben nota al nostro accompagnatore, ma sono molto lontani e per ora inavvicinabili. Eppoi noi stiamo cercando, possibilmente, un maschio da trofeo. Sono affascinato dal territorio: la valle è stretta e ripida, le montagne incombono su di noi e il versante di fronte sembra a poche centinaia di metri. Noi ci troviamo sul lato idrografico sinistro, mentre il lato destro è all’interno del Parco del Gran Paradiso; la riserva si trova tutta sopra quota 2.000 metri ed è praticamente priva di vegetazione, all’infuori di qualche sparuto boschetto e qualche pino mugo. Usciamo dal sentiero, attraversiamo un prato pulito e senza ripari e, arrivati quasi al valico, facciamo una sosta di cinque minuti per prendere fiato prima di affacciarci sulla vallata sottostante. I camosci potrebbero essere molto vicini e, di conseguenza, potrebbe essere necessario sparare senza indugi. Pancia a terra percorriamo gli ultimi metri: vediamo subito alcuni capi, ma sono decisamente lontani. Verificato di non avere animali a tiro, ci dedichiamo all’osservazione della vallata; ci troviamo davanti ad un anfiteatro con al centro una pietraia ove pascolano diversi capi: sono prevalentemente femmine e piccoli. Più in là c’è un maschio giovane che gira e corre intorno ad altre femmine, ma subito viene scacciato da un maschio molto più imponente. Osserviamo, in tutto, tre gruppi distinti di camosci e alcuni maschi più o meno giovani che si danno da fare correndo e rincorrendosi. Arriva anche un superbo stambecco che attraversa la pietraia e procede tranquillo per la sua strada. Dalla nostra posizione, però, è impossibile sia sparare sia avvicinarci, pertanto decidiamo di tornare indietro per provare ad avvicinarci aggirando un colle e seguendo un canale che dovrebbe portarci a tiro dei camosci più in basso, quelli nella pietraia.
L’ambiente alpino è particolarmente duro e difficile. Per poter avere un tiro sicuro è spesso necessario percorrere molta strada muovendosi in un territorio ripido e pieno di insidie
L’aggiramento prevede un passaggio su della neve ghiacciata che a me, cittadino, provoca qualche difficoltà, nonostante l’ausilio del mio fedele bastone; si tratta di un diagonale di pochi metri, ma sono veramente in verticale. Leone provvede con la sua piccozza a crearmi degli scalini che mi aiutano a superare quest’ostacolo. Con molta circospezione, dopo circa un’ora, arriviamo alle rocce e cominciamo a studiare gli animali che a questo punto si trovano a circa duecento metri da noi; purtroppo non vediamo maschi prelevabili, sono tutti di tre o quattro anni. Quando ormai stavamo studiando come avvicinare altri due camosci dall’altra parte dell’anfiteatro, arriva un bel maschio sicuramente maturo che si ferma a 250 metri da noi, ma ci da giusto il tempo di valutarlo e sparisce ripercorrendo la strada dove era venuto. Poiché ormai sono le due del pomeriggio, decidiamo di fare una pausa, troviamo un posto al sole e, mangiando un panino, commentiamo i capi osservati fin’ora preparando la strategia di caccia del pomeriggio. Dopo circa mezz’ora ci rimettiamo in caccia: osserviamo i camosci che ci circondano, ma la situazione è la stessa di prima della pausa; forse c’è un bel maschio in un gruppo all’estremità sinistra dell’anfiteatro, ma ci vuole troppo tempo per avvicinarlo. Decidiamo così, come abbiamo precedentemente pianificato, di tornare indietro mantenendo la quota, in modo da avvicinarci al branco della femmina con un corno solo. Cautamente ci allontaniamo dalla nostra posizione cercando di non allarmare gli animali che ci circondano prendendo un sentiero che ci permette di rimanere in quota. Percorsi circa cinquecento metri, dopo una curva, ci appare a circa cento metri sotto di noi un superbo maschio che ci vede e si allontana. Subito, sia Leone sia Emilio, mi esortano a sparare, ma il maschio sparisce sulla nostra sinistra; corriamo per altri cento metri e si apre davanti a noi un canalone di prato che il camoscio dovrà attraversare per raggiungere le cime dei monti. Posizioniamo il mio zaino sopra quello di Leone, così da permettermi il tiro da seduto e, dopo un attimo, appare il camoscio che comincia a risalire il canalone. Una veloce misurazione con il telemetro ci dice che il selvatico si trova a circa 180 metri; appoggio la mia vecchia Blaser R850 in calibro 6×62 Freres, lo inquadro nel reticolo dello Swarovski Z6 2-12×50, aspetto che mi mostri il fianco, e quindi stringo il grilletto: l’animale cade sul colpo, ruzzola per qualche metro e si ferma. Per sicurezza tiro un secondo colpo: il camoscio è ora morto sul posto. Emilio s’incarica del recupero: si tratta di un prato per me impossibile, quasi verticale, ma lui scende come se fosse nella piazza del paese; intanto, Leone ed io arriviamo in un boschetto che sfruttiamo per agevolarci la discesa. Quando raggiungiamo l’anschuss, Emilio ci sta aspettando tranquillo: ha già pulito il capo. Si tratta di un maschio di sette anni, molto bello per gli standard locali, ove le alte quote non consentono lo sviluppo di trofei eccezionali. Facciamo le foto di rito e torniamo alla macchina. Sono molto contento della giornata di caccia conclusasi nel migliore dei modi. L’unico rammarico, forse, è di aver visto solo stambecchi molto lontani senza poter prendere buone fotografie. Arrivati a casa ormai a buio, ci apprestiamo a eseguire le misurazioni biometriche per completare la scheda d’abbattimento: mentre siamo intenti nell’operazione, arriva una volpe molto interessata al nostro camoscio; sarà difficile dissuaderla dal facile boccone. Continua a girarci intorno e, comunque, rimedia da Leone un pezzo di pane. Nel mentre arriva Luigi che ha prelevato anche lui un maschio. La sera vengono a cena il fratello di Luigi con la moglie. Parliamo della giornata appena conclusa: il fratello ha preso due camosci, un maschio e una femmina. Per il giorno successivo decidono che Leone uscirà con il guardiacaccia Marco, mentre io accompagnerò Luigi e Noel nel fondo valle, al confine con il Parco.
L’ultima giornata di caccia è, quasi sempre, quella che riserva le migliori sorprese
La mattina dopo, libero del fucile, mi porto al collo la mia Nikon D300 con un tele 80-400VR: spero di prendere quelle foto che ieri non ho avuto occasione di fare. E sono presto ripagato: troviamo uno stambecco di circa dieci anni sdraiato vicino al sentiero che si lascia fotografare in tutte le pose; ha due marche auricolari che sicuramente servono a identificarlo. Poi si stufa e se ne va. Proseguiamo sul sentiero salendo leggermente di quota. Un camoscio ci vede e si allontana velocemente verso le cime delle montagne. Proseguiamo e arriviamo a una vecchia stalla di cui rimane solo la parte bassa, un recinto di pietre alto un metro e sessanta: entriamo e cominciamo a guardarci intorno con i binocoli. Alle nostre spalle appare un’aquila che, dopo un breve giro, sparisce con la stessa velocità con cui era arrivata. Di fronte a noi c’è un camoscio che Noel, dopo averlo osservato con il lungo, dice essere un maschio di quattro, massimo cinque anni, abbastanza scarso e con il trofeo molto stretto; potrebbe essere un buon prelievo di selezione ma la distanza è di oltre 400 metri. Individuiamo delle rocce a circa metà strada e, con circospezione, tentiamo l’avvicinamento; dopo alcuni minuti ci posizioniamo nel posto prescelto a 160 metri di distanza dall’animale. Mentre Luigi cerca un buon appoggio per la carabina, il camoscio decide di sdraiarsi su un piccolo ripiano erboso fra le rocce e così incomincia l‘attesa. Vediamo una volpe che, insospettita, lentamente si allontana, andando velocemente fuori tiro. Quindi arriva un giovane gipeto che, prima di posarsi su una cengia, volteggia sulle nostre teste facendosi ammirare in tutta la sua maestosità. Ci giriamo e, alle nostre spalle, a circa 300 metri, appare un vecchio stambecco che prosegue per la sua strada; poi, osservando le cime che ci sovrastano, vediamo altri stambecchi che si affacciano, come per osservarci. L’attesa, interrotta da queste piacevoli osservazioni, dura circa quaranta minuti; poi, finalmente, il camoscio decide che è ora di alzarsi. Luigi attende il momento migliore e quando si presenta perfettamente di fianco, lo centra sulla spalla. Il camoscio si gira e muore all’istante incominciando a ruzzolare verso il fondo valle. Lo raggiungiamo presto: facciamo le foto e il Guardiacaccia lo sventra; poi chiamiamo Leone che ci dice di aver preso una vecchia femmina. Il piano, per quest’anno, è praticamente completato. Quindi torniamo soddisfatti a casa. Saluto tutti, salgo in macchina in direzione Firenze, non prima d’aver fatto scorta di originale fontina valdostana. Ringrazio di cuore i miei amici che mi hanno permesso di vivere quest’esperienza indimenticabile per la mia prima cacciata sulle fantastiche montagne della Val D’Aosta.
Testo e foto di Saverio Patrizi
…Leggi l’articolo in formato Pdf tratto da CACCIA A PALLA N°2/2010