La vicenda fu originata dal decreto prefettizio che colpì un cacciatore nell’ormai lontano 1995, recante appunto il divieto di detenere armi e munizioni ai sensi dell’articolo 39 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Il cacciatore era stato deferito all’autorità giudiziaria per aver esercitato la caccia in periodo di divieto generale con richiami acustici, e per la violazione delle disposizioni sul controllo delle armi, come disposto dall’articolo 2 del legge 895/1967. L’uomo aveva poi ottenuto la declaratoria di estinzione dei reati ai sensi dell’articolo 445 del codice di procedura penale, patteggiando come detto la pena. Alla luce di tale circostanza, ed essendo trascorsi oltre vent’anni dal decreto prefettizio, il cittadino aveva proposto istanza in sede di autotutela per vedere riconsiderata la sua posizione e ottenere la revoca del divieto di detenere armi e munizioni. Tuttavia l’amministrazione respinse la richiesta di avviare tale procedimento di revoca, sostenendo che non fossero mutati i presupposti.
Contro tale atto l’uomo, assistito dal proprio legale di fiducia, l’avvocato Nicola Lauro, ha proposto ricorso affermando la sussistenza di violazione di legge e di eccesso di potere, contestando in particolare l’inadeguatezza dell’istruttoria e l’assenza della chiara esposizione delle ragioni per cui il ricorrente è stato ritenuto ancora capace di abusare delle armi. Secondo la difesa, la Prefettura si era limitata a presupporre che le condanne riportate in passato siano sufficienti a impedire il rilascio della licenza, senza compiere nessuna nuova valutazione dei fatti oggetto delle condanne, nonostante gli oltre due decenni trascorsi e senza affatto considerare l’intervenuta riabilitazione, applicando in modo erroneo le norme del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (IlGolfo24.it).