La Prima Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia si è espressa sul ricorso presentato da un uomo contro la Questura di Palermo. A questa persona era stata negata la licenza di caccia per un motivo piuttosto singolare. In effetti, ci si era accorti che suo figlio, sua sorella e il cognato erano compromessi dal punto di vista penale. Nonostante i tre non fossero conviventi, la Questura aveva giudicato controindicato il contesto familiare del ricorrente.
Per i giudici amministrativi, però, non si tratta di un motivo valido per negare la licenza di porto di fucile e nemmeno di un indice di incapacità per quel che riguarda l’abuso delle armi. Il ricorso è stato dunque accolto e il provvedimento è stato annullato. Il cacciatore aveva fatto leva sulla violazione e falsa applicazione degli articoli 11 e 43 del TULPS, oltre all’eccesso di potere e all’errata valutazione dei documenti.
L’articolo 11 del testo prevede che le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi non è in grado di provare la buona condotta. Al contrario, il secondo comma dell’articolo 43 prevede che il porto d’armi non possa essere rifiutato a chi non riesce a provare la sua buona condotta o non fornisce un adeguato affidamento in relazione all’abuso delle armi.