Una lite, le botte, la paura e la licenza per il porto d’armi (da caccia) che “sparisce”. Anche per chi la violenza – stando alle ricostruzioni di forze dell’ordine – l’avrebbe subita. Ma visto il quadro psicologico dell’uomo e visto che “il nostro ordinamento non riconosce quale diritto assoluto ed incomprimibile del singolo il possesso di un’arma” il Tar trentino non ha accolto il ricorso. E le armi restano intoccabili. La vicenda parte da una lite che ha coinvolto due vicini di casa. Si incontrano lungo una strada di campagna. Uno dei due esce della macchina e va verso l’altro. E lo avrebbe picchiato tanto da provocargli un trauma cranico grado commotivo, contusioni multiple del volto, escoriazioni multiple del volto e dei padiglioni auricolari, con una prognosi che, a seguito di complicazioni, è risultata pari a 40 giorni.
Il primo ad essere querelato è però chi subisce. Procedimento che si chiude con decreto di archiviazione. Poi c’è una seconda denuncia per lesioni gravi e minacce e a presentarla l’automobilista che è finito al pronto soccorso. Nella querela, però, c’è un passaggio che diventa poi cruciale nella causa finita davanti ai giudici del Tar. L’uomo – il picchiato per capirci – spiega di “essere rimasto particolarmente scosso e segnato dall’aggressione subita tanto da non escludere la necessità di ricorrere alle cure di uno psicologo”. Il caso sembrerebbe finito con la remissione della querela a fronte di un risarcimento da 14 mila euro. Ma così: la questura avvia il procedimento per la revoca della licenza di porto d’armi da caccia. Procedimento che tocca entrambe le parti coinvolte. Il provvedimento – per quanto riguarda l’aggredito – diventa un decreto. L’uomo percorre la strada del ricorso al commissario del governo ma la revoca resta tale.
E si arriva quindi al Tar. E nel ricorso l’avvocato dell’uomo spiega come “il Questore pare fondare i propri dubbi circa l’affidabilità del soggetto sulla base di atti che, per la verità, inducono alla conclusione opposta, poiché dagli stessi emergono elementi idonei ad escludere qualsiasi fatto in capo al ricorrente e idonei a dimostrare che lui è una mera vittima passiva di una violenta aggressione unilaterale“. E quindi che “Le norme impongono all’autorità amministrativa di svolgere un’adeguata e puntuale valutazione della personalità del soggetto, senza limitarsi a singoli ed isolati episodi”. Questi i punti del ricorso che – come detto – è stato respinto. Ma ecco le motivazioni dei giudici amministrativi.
E si parte da due premesse: “il nostro ordinamento non riconosce quale diritto assoluto ed incomprimibile del singolo il possesso di un’arma e l’utilizzo della medesima“. E “la richiesta di porto d’armi può essere soddisfatta solo nell’ipotesi che non sussista alcun pericolo che il soggetto possa abusarne, in modo tale da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica”. E poi entra in causa lo stato psicologico dell’uomo. “Non risulta affatto abnorme o irragionevole – si legge in sentenza – aver scorto profili di inaffidabilità in capo all’uomo tali da determinare la revoca della sua licenza di porto d’armi. È lo stesso ricorrente che nella querela riferisce di essere rimasto particolarmente scosso e segnato dall’aggressione subita. Uno stato d’animo, palesato ancora tre mesi dopo l’aggressione, è per certo antitetico rispetto alla condizione di serenità, calma, controllo ed equilibrio indispensabile ai fini del possesso di un’arma.
D’altra è pure la vittima dell’aggressione ed ha subito, a suo dire senza ragione, lesioni personali gravi di durata superiore a 40 giorni e questa circostanza assume rilevanza in relazione al possibile risentimento e impulso di vendetta”. E quindi la conclusione che va nella direzione opposta rispetto a quella sperata da chi ha proposto il ricorso: “il Collegio ritiene che il Questore, nel decreto di revoca, abbia indicato puntualmente sotto il profilo sostanziale ed esaustivamente sotto il profilo motivazionale quegli “indizi” sulla base dei quali ha ritenuto che fosse venuta meno l’affidabilità circa un corretto uso delle armi da parte del ricorrente” (L’Adige).