Che l’Italia non sia il massimo in fatto di gestione, siano esse risorse o problemi, non lo dobbiamo certo venire a ricordare noi. Che il nostro Paese spesso, se non sempre, da ogni problema ne esce con una soluzione tampone per poi dopo anni rendersi conto che probabilmente le scelte fatte in passato hanno solo prodotto ulteriori complicazioni non lo dobbiamo sicuramente affermare noi.
Che il nostro Governo, qualsiasi esso sia, quando ci sia da prendere decisioni anche di un certo spessore debba scontrarsi con un manipolo di ultrà senza arte né parte lo vediamo in continuazione. Il problema ungulati ne è un esempio eclatante!
La questione del cinghiale, ma oramai anche di caprioli e daini, è una costante che si ripete da anni nella Penisola italiana, una grana che tutti gli amministratori locali e statali conosco molto bene. Certo, la vittima di Cefalù ma anche i gravi incidenti stradali provocati dagli attraversamenti degli ungulati in questi ultimi mesi hanno portato (finalmente!) tutte le Regioni e il Governo a ritenere più che mai necessaria una presa di posizione improcrastinabile.
Giustamente gli Amministratori regionali hanno subito chiesto una più consistente presenza dei cacciatori al fine di produrre un maggior numero di abbattimenti e, soprattutto procedure più snelle per autorizzarne gli abbattimenti. Subito la risposta degli ultrà della domenica: no all’aumento del prelievo! Ci sono metodi meno cruenti tipo la sterilizzazione o il trappolamento…. Dove li sposterebbero questi cinghiali però nessuno lo sa.
E il Governo? Non è dato sapere, visto che abbiamo un Ministro dell’Ambiente che si preoccupa più di farsi scrivere dai suoi funzionari delle lettere per “costringere e terrorizzare ” gli Assessori alla caccia e i Presidenti delle Regioni per 10 giorni in meno di caccia a tordi e beccacce, un Ministro dell’Agricoltura mai pervenuto, un istituto come l’Ispra, che ricordiamo essere deputato ad indicare la migliore gestione della fauna selvatica in Italia, che pur conoscendo bene la questione si defila rilasciando dichiarazioni che poco o nulla servono a dipanare questa matassa, come da anni ci ha purtroppo oramai abituato.
Da cacciatori siamo abituati a questo tipo di situazione, sono oramai decenni che la caccia in Italia è in balia degli eventi, pilotati o meno, e oramai le associazioni venatorie passano più tempo nelle aule di Tribunale che a parlamentare di attività venatoria, sono anni che i calendari venatori si fanno attraverso gli organi giudiziari e non attraverso gli atti politici e la scienza.
Parliamoci subito chiaro: se qualcuno non vuole sentire le parole Parco, Demanio o Aree sottoposte a divieto di caccia è bene che smetta subito di leggere, ma si ricordi bene che così facendo fuggirà dal problema non affrontandolo di petto e rifiutando de facto che queste aree sono il vero zoccolo di rifugio degli ungulati.
Se analizziamo i dati degli abbattimenti di due Regioni possiamo vedere come nella stagione venatoria 2014/2015 in Liguria sono stati prelevati quasi 26.000 cinghiali e in Umbria circa 18.000. Al tempo stesso possiamo vedere come nei territori sottoposti alla caccia programmata suddivisa in distretti e settori gestiti dalle Squadre cinghialiste, i danni sono piuttosto contenuti o comunque la presenza dei selvatici durante le colture viene minimizzato grazie al pronto intervento dei cacciatori.
E allora il problema da dove viene? Sarebbe semplicistico senza spiegare il perché, soprattutto se detto dai cacciatori, addossare tutto il dilemma ai Parchi e compagnia bella, ma se consideriamo che il Territorio Agro Silvo Pastorale è sottoposto ad attività venatoria con prelievi di cinghiale con numeri piuttosto consistenti, cosa resta? E’ logico che in quei luoghi dove la caccia è interdetta i selvatici trovano rifugio durante tutto l’arco dell’anno ed anche cibo a volontà, allo stesso tempo trai luoghi preclusi all’attività venatoria dobbiamo aggiungere anche aree dove la caccia è permessa come le Aziende Faunistico Venatorie e le Agro Turistico Venatorie, così come le Zone di Ripopolamento e Cattura le quali al loro interno non prevedono la specie cinghiale.
Gli Amministratori centrali e, soprattutto, l’Ispra dovrebbero a questo punto assumersi le proprie responsabilità e avere il coraggio di prendere il toro per le corna: parlare di attività di prelievo all’interno delle sopracitate aree non deve essere un tabù, ma una oggettiva necessità per far fronte ad un evento di carattere eccezionale. Tra le altre cose dobbiamo anche aggiungere che l’Italia rappresenta probabilmente l’unico Stato al mondo in cui la gestione della Fauna all’interno di Parchi & C. è praticamente impossibile se non qualche abbattimento in selezione che non intacca minimamente lo zoccolo duro della specie.
La caccia di selezione all’interno di queste strutture non è una soluzione soddisfacente, come dimostrano i risultati e, soprattutto i danni prodotti all’agricoltura. Non diciamo neanche che una braccata all’interno di un territorio protetto sia una soluzione praticabile, ma piuttosto una girata con un numero contenuto di cani e cacciatori potrebbe essere una via praticabile e con basso impatto dal punto di vista del disturbo verso altre delicate specie.
Non possiamo neanche restare che basiti difronte alla sterilità con cui le Associazioni agricole stanno affrontando il problema: anziché chiedere a gran voce la soluzione della questione attraverso il riconoscimento che i maggiori danni ai terreni coltivati avvengono laddove sono presenti aree interdette all’attività venatoria si accaniscono contro il cacciatore stesso. Ne è un esempio a dir poco comico la Copagri abruzzese per bocca del suo Presidente Camillo D’amico, il quale attacca duramente la scelta effettuata dai cacciatori di cinghiale del Vastese con capofila il nostro grandissimo Presidente Regionale ANLC Antonio Campitelli.
La caccia al cinghiale in questa Regione è stata praticamente estinta da un Assessore regionale che ha portato avanti un disciplinare con mille cavilli e restrizioni che di fatto renderebbe impossibile effettuare una braccata al cinghiale tra i rifiuti degna di questo nome. Cosa fa la Copagri? Piuttosto che essere solidale con i cacciatori li attacca duramente andando anche oltre, affermando che per il cacciatore l‘attività venatoria è “solo” una semplice passione che rispettano, loro, ma per gli agricoltori la loro attività è fonte di reddito. Ovvio che il discorso non fa una piega, nessuno vuol disconoscere che l’agricoltore è il nostro primo interlocutore e benefattore ma fra “amici” ci si aiuta e non si tirano pugnalate alle spalle. Vorremmo ricordare al Presidente di COPAGRI che la caccia è una CONCESSIONE GOVERATIVA, quindi se vogliono i cacciatori possono CONCEDERSI se scegliere di andare a svolgere la propria passione o no!
Siamo fieri del nostro Presidente Regionale ANLC Antonio Campitelli per questa sua grandissima iniziativa, così come siamo felicissimi che nei blog e nei social network tantissimi selecontrollori si sono dichiarati fuori da un eventuale chiamata ad effettuare abbattimenti in Abruzzo qualora la Regione decidesse di aprire le porte ad estranei per effettuare abbattimenti. Fin quando non si prenderà coscienza che per arginare questa grana bisognerà intervenire anche nelle aree sottoposte a vincolo, il cinghiale così come altri ungulati, la situazione non farà altro che peggiorare.
E gli ambientalisti? Per gli “amici dell’ambiente”(?), la caccia ovviamente non è la soluzione, ma anzi la caccia è il problema dell’aumento del cinghiale. Secondo loro i cacciatori immettono cinghiali in continuazione e soprattutto l’attività venatoria effettuata senza regole come quella per cervidi e bovidi a destrutturato i branchi e quindi costretto le femmine a spostarsi e implementare così ulteriori comunità di suini. Quanto sopra esposto la dice lunga sulla conoscenza della fauna dalle sedicenti Associazioni Ambientaliste, così come non possiamo che restare basiti dai “sedicenti professori” dell’ultima che forti del loro pezzo di carta, hanno gettato all’opinione pubblica verità e soluzioni che neanche il più ignorante degli italiani avrebbe pensato.
Se la caccia non è la soluzione ma il problema bene, ne prendiamo atto. Se per diminuire il numero dei cinghiali l’attività venatoria non è il sistema migliore perfetto, ce ne faremo una ragione. Qualcuno ha detto che ci vuole l’esercito? L’Aviazione? Il Genio civile? Tutto condivisibile….
Ma quando la protesta iniziata dal Presidente Regionale Campitelli nel Vastese si estenderà, e state certi che succederà se non cambieranno le cose, ad altre realtà territoriali i cacciatori questa volta dovranno fare veramente quadrato: niente caccia al cinghiale!!! Che la risolvessero i politici, gli ambientalisti e i “professoroni”.
Concludiamo comunicando a quanti ci leggeranno che questo sarà il primo di alcuni articoli che usciranno per mano dell’Ufficio Tecnico Legislativo ANLC. Articoli che mireranno a portare notizie e informazioni, ma soprattutto quelle verità che i cacciatori DEVONO necessariamente sapere: dal Decreto Galletti al nostro ricorso al Tar in attesa di fissazione dell’udienza, dalla Procedura Eu-Pilot ancora VOLUTAMENTE tenuta aperta dal Ministero dell’Ambiente all’Ispra, dalle novità e i futuri sviluppi per la caccia in Italia alla questione richiami vivi e deroghe. Tanta carne al fuoco c’è e, soprattutto tante scomode notizie da troppo tempo sottaciute al mondo venatorio e non solo.
Luca Stincardini
Ufficio Tecnico Legislativo Fauna Selvatica – ANLC
( 12 settembre 2015 )