I nostri grandi politici, con in testa i pentastellati, invece di occuparsi della tragedia sanitaria, economica e sociale in cui siamo immersi fino al collo, stanno alacremente predisponendo il patibolo per i cittadini cacciatori. E la cosa più grave è che la preparazione di questa esecuzione capitale sta avvenendo nel silenzio assordante di tantissimi politici – non tutti, per fortuna – che almeno a parole, si dicono vicini al nostro mondo.
Questa vera e propria “condanna a morte” non tiene in alcuna considerazione il fatto che la categoria dei cittadini cacciatori sia periodicamente supercontrollata; che abbia dato, da sempre, grandi esempi di partecipazione attiva alla vita sociale, al monitoraggio ambientale e alla lotta contro gli incendi boschivi; che sia stata in prima linea per sensibilità civile e solidarietà (come nel caso delle ingenti donazioni all’epoca della prima ondata di pandemia); e che abbia subito le immotivate restrizioni imposte a seguito dei vari DPCM. Se qualcuno pensasse che il tono di questo mio intervento sia esagerato dovrebbe andare a leggersi il disegno di legge che è attualmente in Commissione Giustizia al Senato e che, con l’odio anticaccia che contraddistingue i seguaci di Grillo e Casaleggio, spalleggiati dalle schiere animaliste e dai politici ad esse legati, avrà presto l’onore dell’Aula.
Ricordo in breve ciò che sta bollendo in pentola.
-) Aumento stratosferico delle sanzioni (amministrative e penali) previste in materia di maltrattamento animale.
-) Inasprimento delle già severe norme che regolano l’uso dei collari con il divieto di metterli in vendita e con l’obbligo di riconsegnare quelli già detenuti.
Tra l’altro, si pensi che ha già fatto capolino la richiesta di vietare anche il campanello, il cui uso rappresenterebbe un vero e proprio maltrattamento per i cani costretti a indossarlo. Ma fin qui, tutto sommato, la strada del confronto e della mediazione politica potrebbe essere percorribile, anche perché molti dei maltrattamenti e degli abusi previsti dal disegno di legge sono lontani mille anni luce dalla nostra millenaria cultura rurale e venatoria. Invece, la lama affilata della ghigliottina è subdolamente “nascosta” proprio alla fine del testo del disegno di legge, dove è prevista l’abrogazione dell’art. 842: “Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso [artt. 841, 1064 c.c.] nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno [art. 923 c.c.].
In altre parole, abrogando l’art. 842, si SANCISCE LA FINE DELLA CACCIA. Di quella caccia popolare, non legata alla proprietà terriera, e libera dagli inevitabili balzelli che verrebbero imposti da ogni proprietario anche di terreni assolutamente incolti e improduttivi. Certo, la norma dell’art. 842 è stata introdotta per motivi ideologici, propagandistici e funzionali alla guerra, ma rappresenta tuttavia una grande conquista popolare e un vanto sociale per l’Italia. Prima che sia troppo tardi, tutti i politici che dicono di avere a cuore le sorti dei cacciatori hanno ora la possibilità di far sentire la loro e la nostra voce per evitare che, dove non sono riusciti oltre venti referendum, riesca la volontà di chi odia la caccia non certo per ragioni tecniche o scientifiche, ma solo per una ideologia integralista e miope nei confronti di una corretta gestione globale dell’ambiente naturale e dell’agricoltura. Ma anche i cacciatori, TUTTI I CACCIATORI, devono sentirsi mobilitati e impegnati nel sollecitare le forze politiche libere e non asservite all’ideologia anticaccia, a tenere la guardia alta, adottando ogni iniziativa democratica in grado di scongiurare questa condanna a morte della caccia (Paolo Sparvoli, presidente di ANLC).