L’Ente Nazionale Cinofilia Italiana (ENCI) ha deciso di iscrivere il Pastore della Sila nel registro genealogico per recuperare una delle razze italiane più antiche, nata dall’incrocio tra i cani da pastore che seguivano le capre in Grecia e i cani della montagna calabrese portati dai cacciatori indoeuropei. L’iscrizione segue di pari passo l’aumento di richieste di questo animale nelle zone alpine in cui il lupo sta mettendo a rischio i pascoli: il censimento in Calabria, Toscana, Veneto, Liguria e Piemonte ha messo in luce la presenza di 500 esemplari, con i primi programmi di accoppiamento partiti da tempo. Questo cane ha una taglia relativamente grande e dà subito l’idea di un animale agile e mai pesante, con una buona muscolatura.
Il muso, inoltre, è potente: il manto è di colore nero ma può anche assumere diverse gradazioni, senza dimenticare il pelo semi-lungo e le orecchie pendule. L’iscrizione dell’ENCI conferma che non se ne può più parlare come di una razza estinta. Oltre mezzo secolo fa veniva ancora impiegata per sorvegliare i bovini in Calabria, ma i nuovi allevamenti imposti dalla riforma agraria hanno rischiato di far dimenticare per sempre il Pastore della Sila, il quale si è riscoperto ora molto utile nella gestione del lupo.
Le previsioni più ottimistiche parlano di un aumento in termini numerici nel corso dei prossimi mesi e un sicuro interessamento da parte della Federazione Cinologica Internazionale (FCI). Il Parco Nazionale della Sila si è già impegnato a siglare un accordo per proteggere la fauna selvatica e lo stesso lupo dai fenomeni del bracconaggio: i cani autoctoni diventeranno uno strumento fondamentale di lavoro, oltre che di prevenzione per i danni subiti dal settore agricolo.
Tra l’altro, il Pastore della Sila è capace di sopportare le situazioni più estreme, sia dal punto di vista atmosferico che per quel che riguarda l’assenza di cibo, per periodi di tempo molto lunghi. Ora è pronto a ripopolare i territori calabresi, una delle roccaforti del lupo italiano. I grandi boschi e le aree poco popolate della regione meridionale, infatti, hanno attirato da sempre i lupi, rischiando comunque l’estinzione negli anni Settanta del secolo scorso. L’attuale distribuzione coinvolge l’area montana tra gli 800 e i 1000 metri, dal Pollino fino all’Aspromonte, con avvistamenti recenti che hanno fatto scattare l’allarme. In particolare, le piogge hanno spesso spinto i lupi selvatici ad avventurarsi fuori dal loro habitat naturale e ad arrivare senza troppe indecisioni fino ai territori lungo la costa.