Riflessioni maturate da tempo
L’epoca estiva, nella quale certamente si lavora, ma per qualche settimana a ritmi meno forsennati e con discrete pause, favorisce le riflessioni. O meglio, ci consente di mettere nero su bianco le riflessioni che alimentiamo da tempo. Una di esse, potrebbe essere sintetizzata in una frase del tipo “dov’è finito lo svernamento”? Ci riferiamo ovviamente allo svernamento degli uccelli e, specificamente, dei migratori. Tutti abbiamo sempre saputo e studiato e osservato e letto, che il ciclo vitale annuale delle specie di avifauna migratrice è suddiviso nelle seguenti fasi: migrazione pre-nuziale, riproduzione, migrazione post-nuziale e svernamento. L’obiettivo, in relazione allo svolgimento dell’attività venatoria, è sempre stato quello di evitare il più possibile concomitanze e sovrapposizioni, ad esempio, con l’epoca riproduttiva, anche perché, pure ante direttiva Uccelli e norme comunitarie – cioè ben prima che venisse fondata la CEE e, molto dopo, l’UE – era interesse degli stessi praticanti la caccia, che la selvaggina venisse lasciata tranquilla a riprodursi, anche solo per mero interesse, ovvero affinché si potesse beneficiare di un patrimonio faunistico più importante. C’era invece, è indubbio, assai minore attenzione per l’arco di tempo precedente la riproduzione, quello cioè della migrazione primaverile, che i cacciatori in gergo definiscono “ripasso”.
L’evoluzione della normativa
Non per niente, numerose specie migratrici acquatiche, si cacciavano fino alla metà, se non alla fine, di aprile. Col trascorrere dei decenni, il sopraggiungere e perfezionarsi della normativa comunitaria e unionale per la tutela della biodiversità in generale, ha stretto sempre più il laccio attorno a molte attività, compresa quella venatoria, limitandone innanzitutto i periodi di lecito svolgimento. Siccome però le norme comunitarie-unionali dettano principi e criteri, non potendo contenere date esatte uguali per tutti gli Stati membri, ne sono scaturiti ampi contenziosi per una loro corretta interpretazione, con ragguardevole produzione giurisprudenziale della Corte di giustizia europea che si è depositata già a partire da fine anni ’80 dello scorso secolo. Va da sé che il diritto produca a volte dei veri “mostri giuridici” che non hanno alcun riscontro nella realtà quotidiana, in quanto affermazioni di principi giuridici astratti: purtroppo però tali mostri, una volta sulla carta, creano difficoltà insormontabili, che richiedono sforzi sovrumani in sede tecnica per cercare di rendere compatibili con essi le attività nella natura, caccia in primis. È da un caso del genere, con l’invenzione dell’insensato principio della “protezione completa”, che nel 1994 la Corte di giustizia inguaiò tutto il resto del mondo su avvio e chiusura della stagione venatoria nei Paesi UE.
I lavori del NADEG
Ne scaturirono dibattiti, polemiche, scontri tra categorie di stakeholders sulle opposte barricate, finché non si giunse alla redazione, lunga e laboriosa, della notissima Guida interpretativa sull’applicazione della Direttiva 79/409/CEE (oggi 2009/147/CE), formalmente adottata dalla Commissione UE. È un documento di assoluta rilevanza tecnico-giuridica, che letteralmente guida i singoli Paesi nella definizione dei periodi di attività venatoria in armonia con le esigenze dell’avifauna: in parole povere, rendendo la caccia compatibile con la conservazione della risorsa faunistica o, come va di moda dire oggi, “sostenibile”. Di pari passo, vanno considerati i lavori del gruppo tecnico che oggi si chiama NADEG (Gruppo di esperti sugli uccelli e sulle direttive Natura) e che ha assorbito le funzioni di quello che in precedenza era il Comitato Ornis. Il NADEG è costituito da esperti in rappresentanza dei singoli Stati UE che, tra i suoi compiti, ha anche il periodico esame di dati per l’eventuale aggiornamento delle famose decadi di riproduzione e di migrazione pre-nuziale delle specie di avifauna oggetto di caccia nell’Unione, illustrate e argomentate nell’altrettanto celeberrimo documento “Key Concepts of Article…” ecc. ecc. che tutti, per le vie brevi, denominiamo KC. E qui torniamo alla nostra domanda originaria: dov’è finito lo svernamento? Semplice… è (quasi) scomparso. Soprattutto per alcuni Paesi (tra cui, guarda caso, l’Italia) e soprattutto per specie di elevato interesse venatorio (guarda ancora caso). Qualche esempio? Germano reale, Alzavola, Beccaccia, Tordo bottaccio, Tordo sassello, Cesena ….
Riflessioni finali
Il periodo riproduttivo termina magari a fine luglio o fine agosto, tra settembre e novembre (anche oltre) c’è la migrazione autunnale e alla prima/seconda decade di gennaio comincerebbe il ripasso. Pertanto, quando o quanto svernano queste specie? Venti giorni a cavallo fra dicembre e gennaio? Da qui, alla sparizione completa di tale periodo cruciale, il passo è brevissimo. Viene allora da domandarci se, scientificamente, tutto ciò sia corretto, nonché serio. Non è questione di voler cacciare di più, da una parte e, dall’altra, di voler fare cacciare di meno. Il quesito che ci poniamo è di deontologia professionale: ci si rende conto che siamo ormai alla negazione dello svernamento quale fase biologica essenziale del ciclo vitale dei migratori? Gli uccelli passerebbero dalla migrazione post-nuziale direttamente a quella pre-nuziale, dopo sì e no una ventina di giorni di frettoloso relax per superare l’inverno. È pur vero che, per il senso comune, “non ci sono più gli inverni di una volta”, ma la scienza ornitologica è tutt’altra cosa e non si alimenta di chiacchiere da bar o da mercato. Sappiamo già che ci risponderebbero che la “colpa” è della sentenza della Corte che abbiamo citato, per la quale protezione completa significa proteggere anche i primi due soggetti in movimento pre-nuziale: poi, non conta che la migrazione massiva della stragrande quantità di uccelli, cominci magari a febbraio o anche più tardi. Il diktat dei legulei di Bruxelles va rispettato. E questi sono i motivi per cui la stagione venatoria va riducendosi progressivamente (nonostante le date di legge siano inalterate dal 1992): per proteggere i due esemplari precoci (ammesso che siano già in ripasso), si chiude tutto in pieno inverno. Perché l’inverno a nostro parere continua a esistere, eccome. Resta solo la legittima domanda: si può, in nome di un principio giuridico inventato, cambiare la biologia delle specie selvatiche? Piegare la scienza alle aule di tribunale? Noi di dubbi ne abbiamo tanti, altri evidentemente non ne hanno. La scienza ornitologica meriterebbe molto più rispetto e molta maggior onestà intellettuale, anche e soprattutto da chi ne ha fatto il proprio mestiere (fonte: ANUU).