Tante firme non valide, il referendum contro la caccia non passa. E i cacciatori, da Perugia, passano all’offensiva: subito una class action che risarcisca decenni di danni all’ambiente e alle doppiette italiane. Questa l’iniziativa lanciata da Mario Bartoccini (ricercatore faunistico), Danilo Mattioli e Francesco Ravacchioli (Club Cacciatori Le Torri), Moreno Raggetti (Club del colombaccio Appennino Umbro-Toscano), Evandro Caiello (Confavi Orvieto), Claudio Tortoioli (Associazione venatoria ambientale Nata Libera Perugia). Una class action che risarcisca decenni di danni all’ambiente e ai cacciatori italiani dopo le modalità con le quali – argomentano – il Comitato contro la caccia ha raccolto le firme per promuovere il referendum abrogativo, senza centrare l’obiettivo.
“La confusionaria raccolta di firme contro la caccia italiana – attaccano i cacciatori – un’assurdità unica al mondo. Nello squallore dei promotori non vi è di certo la tutela di ambiente, fauna e habitat, ma solo ed esclusivamente la ricerca di consenso per appropriarsi di poltrone e vivere sulle spalle dei contribuenti italiani”. Il governo Draghi, concedendo un mese in più per la raccolta delle firme, a giudizio degli scriventi ha fatto una gravissima scelta di parte, un chiaro favore agli animalisti retrogradi e dannosi. Nel silenzio assordante della politica, tra coloro che dovrebbero difendere la caccia popolare. Ma nonostante ciò delle 520.000 firme raccolte più del 30% non sono valide e quindi non si è raggiunto il quorum. “Le irregolarità – sottolineano i cacciatori – sono tantissime e le autorità competenti possono azzerare tutto, per evitare ulteriori gravi danni economici, ambientali, e compromettere ulteriormente la sicurezza, anche di aree urbane, con il totale fuori controllo di selvatici anche di grossa mole”.
“La caccia rappresenta – proseguono i cacciatori – un forma indispensabile per la tutela ambientale, l’equilibrio faunistico, delle aree marginali, la concreta salvaguardia della biodiversità nel suo insieme”. Oltre ad essere “una tradizione ricca di saperi”. E un fenomeno di rilevanza sociale che crea 900.000 mila posti di lavoro sostenuti da 2.400 aziende, e più di mezzo punto di Pil, introiti fiscali per Stato e Regioni. Il mondo venatorio, che ha già vinto molte sfide, era comunque pronto a respingere l’attacco alla legge 157, che ha come principale obbiettivo la tutela della fauna, limitando anche la pratica venatoria italiana, più di ogni altro Paese in Europa. Ferma opposizione anche al tentativo di abolizione l’articolo 842 del Codice Civile, che consente l’ingresso nei fondi privati per cacciare, e raccogliere frutti spontanei. E comunque frequentare la campagna e la natura, senza danneggiare ovviamente le proprietà.
“Che da sempre – ricordano – permette una fruibilità del creato, che sta alla base di una società democratica, aperta e solidale. Sarebbe interessante capire chi e per che cosa? Tanti si adoperano per un regalo al latifondo, peraltro non richiesto”. Di fronte a questa prospettiva, “che al danno aggiungerebbe la beffa”, i cacciatori perugini e umbri rilanciano con precise e concrete richieste: “Crediamo sia inderogabilmente arrivato il momento di smascherare e chiamare alle proprie responsabilità: chi da anni impone limitazioni, errori, vessazioni contro la caccia italiana, ma che in verità si ripercuotono totalmente contro la sicurezza, l’equilibrio faunistico, attività economiche. Basti pensare alle tante limitazioni che subiamo da anni. E poi aggiungere la tracimazione di Ispra, che con i provvedimenti dei Tar condiziona oltre misura la caccia italiana”. Ispra che viene chiamata ad esprimere pareri tecnici consultivi, ma che non vincolerebbero le Regioni. Invece “il forte condizionamento degli ultimi anni ha limitato le stagioni venatorie in tutta Italia, a danno dei cacciatori e delle Regioni, ridotte al rango di mera comparsa in materia.
Azzerando di fatto la stessa autonomia regionale. Anche su un tema che il legislatore ha voluto riservare alle singole regioni, come la stesura dei calendari venatori”. D’altro canto gli scriventi denunciano la “debole posizione” degli uffici e Assessorati regionali, che cedono alle forzature di Ispra”. Che diventa il pretesto per limitare i cacciatori, “servita ad alcune associazioni animaliste, e anche venatorie, e gruppi politici per comprimere la caccia italiana”. “Ispra va abolita” denunciano i cacciatori. C’è poi il problema della selvaggina nobile stanziale. “L’inizio della stagione – evidenziano gli scriventi – conferma purtroppo quanto noi, abbiamo già segnalato e costato, inesistente quasi, la selvaggina nobile stanziale. Dei 80.000 capi di riproduttori di selvaggina immessa nei mesi invernali, costi sostenuti totalmente con risorse provenienti dalle tasche dei cacciatori umbri, circa 900mila euro.
Considerato che il prelievo annuale dei circa 20mila cacciatori umbri si aggira sui 35-40mila capi, si evidenzia un fallimento totale, della gestione faunistica, dei tre Atc, sia per l’eccessiva presenza di cinghiali e predatori, volpi e corvidi, sia per la carenza di selvaggina nobile stanziale”. I cacciatori lamentano poi “continue intromissioni e vessazioni per i periodi di prelievo e regole assurde che danneggiano biodiversità e ambiente, mettono a rischio sicurezza stradale, coltivazioni e allevamenti”. Da qui la decisione di consultare dei legali per valutare la possibilità di una class action che risarcisca il danno che i cacciatori (ma anche tutti i cittadini) subiscono da anni. L’assessorato regionale umbro, non discostandosi dai pareri Ispra – proseguono gli scriventi – pur potendolo fare, danneggia la stessa istituzione regionale e di fatto sceglie di appoggiare le posizioni più estremiste delle associazioni animaliste.
“Un vero e proprio tradimento verso la caccia umbra – attaccano – promesse e assunzione di impegni presi durante la campagna elettorale delle regionali, completamente disattesi”. Da qui la richiesta di ciò che la Regione dovrebbe fare nell’immediato. Innanzi tutto, si chiede un protagonismo nella Conferenza Stato Regioni, che sblocchi la questione tortora, con un piano ti tutela degli habitat e la cacciabilità dal primo settembre 2022. Fissare poi con un atto legislativo il calendario venatorio 2022/2023 e inizio della stagione venatorio per stanziale e migratoria, la prima domenica di settembre, con chiusura il 10 febbraio. Si denuncia inoltre la “totale inadeguatezza della consulta faunistico venatoria regionale, l’insufficienza dell’osservatorio faunistico: le attività agricole e venatorie, la biodiversità, necessitano un lavoro preventivo. Ricordando che da anni sono soprattutto i gruppi spontanei a lavorare a tutela di ambiente e fauna, anche collaborando con gli agricoltori. Gruppi che ora chiedono di essere rappresentati nella consulta (Tuttoggi).