Venticinque aziende agricole di San Floriano del Collio (Gorizia) lamentano consistenti danni ai propri vigneti, causati dalle incursioni di cinghiali, ma anche caprioli. Hanno quantificato il danno «periziato per ciascuna azienda: superiore ai 2 mila euro ad ettaro all’anno». Una problematica, sottolineano le imprese, che si ripete da tempo. A questo punto hanno presentato una lettera chiedendo alla Regione la “destituzione” dei cacciatori della zona venatoria e la nomina di «una nuova famiglia». La questione, infatti, chiama in causa un abbattimento dei capi ritenuto insufficiente. Una situazione «ormai insostenibile e non più procrastinabile».
La lettera è stata inoltrata al governatore Massimiliano Fedriga, nonché al Distretto venatorio del Collio, alla Struttura per la gestione faunistica venatoria di Gorizia, al Servizio caccia e risorse ittiche. Le imprese firmatarie rappresentano una superficie complessiva coltivata a vigneto di 326 ettari. E precisano: «Il distretto venatorio di Gisbana, contiguo, frazione di San Floriano, è gestito da un’altra famiglia di cacciatori, nel quale non si registrano danni da selvaggina. Tutti noi, invece, subiamo danni che aumentano esponenzialmente di anno in anno, a fronte delle scorribande di cinghiali e caprioli. Causano devastazioni, dalla piantumazione delle barbatelle, sradicate dai cinghiali, al germogliamento di barbatelle e vigneti in produzione mangiato dai caprioli azzerando la produzione e annullando la crescita delle viti giovani.
Quando l’uva è matura, viene decimata». Le aziende hanno anche installato “barriere” di deterrenza attorno alle proprietà: «Abbiamo posizionato recinti elettrici e poi recintato i nostri vigneti con reti elettrosaldate, ma senza ottenere un risultato tangibile: la selvaggina riesce comunque a penetrare all’interno distruggendo il raccolto». Hanno ragionato in termini comparativi: «A Giasbana, Zegla, Plessiva, Cormons, Corno di Rosazzo, Dolegna del Collio, Scriò, Vencò, non si lamentano danni provocati da cinghiali e caprioli, lo dimostra il fatto che non sono stati posizionati recinti elettrici o reti elettrosaldate». E ancora: «Da anni abbiamo rappresentato la situazione ai cacciatori, ma le risposte sono sempre le stesse: tutto è sotto controllo, abbiamo abbattuto capi sufficienti».
Il direttore della riserva Jurij Klanjšček ricorda che lo scorso 14 dicembre le aziende erano state invitate ad una riunione: «I promotori dell’iniziativa non hanno partecipato. Il rappresentante di Coldiretti che era presente ha definito virtuosa la nostra riserva, avendo sempre rispettato il piano di abbattimento dei capi, con interventi aggiuntivi. Nell’annata venatoria 2018-2019 a fronte di un piano di abbattimento originale di 76 capi, abbiamo ottenuto ed effettuato l’abbattimento di 110 capi. Nell’annata successiva sono stati 90. Nell’annata 2020/2021 i numeri sono scesi per minor presenza di cinghiali sul territorio, ma già quest’anno sono aumentati sensibilmente. Il cinghiale – dice – non conosce confini di Stato e confini amministrativi tra le riserve.
Non so quanto servirebbe sostituire i cacciatori, proprio perché i fattori in campo sono diversi. Auspichiamo, piuttosto, l’estensione dell’attività venatoria sull’intero arco dell’anno, come accade in Slovenia». Klaniscek osserva: «Il nostro intento era quello di invitare le aziende a sottoscrivere insieme a noi una lettera per la Regione, nell’affrontare le problematiche insieme. Vogliamo continuare a mantenere i migliori rapporti e rimaniamo sempre pronti a condividere le questioni con i viticoltori. L’iniziativa adottata mi sembra un accanimento contro la nostra riserva che non riesco a comprendere» (Il Piccolo).