Dal mondo venatorio umbro arrivano richieste di nuove norme che consentano di affrontare adeguatamente la questione cinghiali. “Non si può relegare il problema – scrive Arci Caccia Umbria – solo alla gestione dei distretti, al numero dei capi abbattuti durante il periodo di caccia che dura solamente tre mesi e con uno sfasamento temporale come i tempi dell’agricoltura o con regolamenti non al passo con i tempi“.
“In Umbria – viene ricordato – esistono realtà di confine, dove si registrano ingenti danni, dove il cinghiale non può essere solo un problema locale, le aree protette di confine delle regioni limitrofe sono serbatoi immensi di cinghiali che causano danni in Umbria e si rifugiano al di là del confine, ma i danni gravano sui bilanci degli Atc umbri, queste sono problematiche che non possono essere affrontate guardando solamente all’interno del confine amministrativo regionale“. Arci Caccia rivendica una propria linea, anche minoritaria in questi anni, rispetto alle valutazioni del mondo venatorio. “Sappiamo perfettamente che parte del mondo venatorio, non sempre ha risposto con senso di responsabilità di fronte al problema – scrive l’associazione -.
Ma non è il caso di Arci Caccia, sono anni che stiamo chiedendo alla Regione Umbria, un regolamento per gestire la specie e un regolamento per esercitare la caccia al cinghiale, nell’ottica di rispondere alle esigenze che sono maturate all’interno del mondo venatorio e agricolo“. Arci Caccia chiama quindi all’unità il mondo venatorio. Anche alla luce del fatto che gli uffici regionali preposti stanno lavorando ad un nuovo piano di gestione della specie cinghiale. Per il quale si chiede un confronto con le associazioni venatorie.