Questa volta il dito lo metterei nell’occhio di chi lavora per la castrazione chimica e ormonale dei cinghiali, per risolvere la cosiddetta “emergenza” determinata dal loro numero in continuo aumento. Come tutti sanno, danni alle colture agricole e rischio continuo di incidenti stradali sono le dirette e costose conseguenze dell’improvviso aumento di alcune specie. La caccia, dicono gli animalisti, non risolve il problema, anzi lo aggrava. Indovinate perché? “Perché attraverso la perdita della sincronizzazione dell’estro, potrebbe essere considerata come una causa dei danni stessi”. Lo afferma uno studio anonimo della LAC (Lega Abolizione Caccia). La sigla già dice tutto, intenzioni e programmi. Sostengono, quelli della LAC, che secondo uno scienziato spagnolo, in una popolazione di cinghiali sottoposta a intenso prelievo le femmine vanno in estro già dal primo anno di età. Ecco la causa dell’aumento delle popolazioni di cinghiali. Non l’abbandono delle colture e quindi l’aumento delle zone boschive, non l’aumento della temperatura che ha determinato maggiori disponibilità alimentari, non i parchi, ma la caccia. Ma come? Fino a ieri ci accusavano di distruggere la fauna selvatica, ora ci accusano di farla aumentare? E tutti quegli altri scienziati, anche dell’Ispra, delle Università di Perugia, Torino e Viterbo (per citare solo gli italiani) che hanno sempre sostenuto come una buona caccia di gestione serva, non a distruggere o a fare aumentare una specie oggetto di prelievo, ma a conservarla, e a migliorare la situazione delle altre specie? allora dicono stronzate?
Quindi, non la caccia in braccata (che addirittura fa aumentare il numero dei cinghiali), non gli abbattimenti selettivi nei parchi esercitati sulle femmine e sulle classi giovani (che secondo l’ISPRA è il metodo migliore, e io dico: basta incrementarlo), non le recinzioni elettriche e il foraggiamento nei boschi, non le catture e le successive immissioni in altre zone, ma la castrazione chimica. Ne parlò la prima volta Il Tirreno, nell’edizione di Grosseto, del 25 agosto 2011. La proposta era della LAV (Lega Antivivisezione), sostenuta dalla LAC e con diverse sfumature anche da Italia Nostra, raccogliendo una proposta di Giovanna Massei, nota a Grosseto per aver collaborato con il Parco della Maremma. La Massei dice di aver sperimentato con successo questo metodo in Inghilterra. Ma mi chiedo: dove stanno i cinghiali in Inghilterra? Su quale specie ha agito? Piccioni e storni? Sicché, insomma, dopo questa bella esperienza inglese, si tratterebbe ora di sterilizzare i cinghiali con ormoni immessi nelle esche di mais. Sempre il Tirreno, il 23 agosto 2013, ci informa che la provincia di Lucca ha avviato uno stretto rapporto con il Parco della Maremma e l’Università di Pisa che stanno studiando il sistema in grado di sterilizzare le femmine di cinghiale. La sostanza è stata trovata. Si tratta ora di trovare dei contenitori che solo i cinghiali possano aprire. Questa era la speranza espressa dall’assessore.
Il Corriere del 1. ottobre di quest’anno annuncia che la sperimentazione è già cominciata nel parco della Maremma. “Il dispenser è stato utilizzato con successo” spiega Enrico Giunta, direttore del Parco.” Si chiama Bos (Board Operated System) e funziona solo sui cinghiali. In altre parole riconosce la conformazione del muso e rilascia i cibo dove in futuro sarà inserito l’anticoncezionale”. Ma io mi chiedo: sarà aperto anche dai maschi. E quali effetti avranno su di loro gli ormoni che devono bloccare l’estro delle femmine? Manca ancora la pillola, ovvero il primo farmaco orale in attesa delle autorizzazioni delle autorità sanitarie americane e italiane. “Certamente entro il 2016”, conclude felice il direttore del Parco della Maremma, che se ricordate bene, fu una delle prime aree protette ad aprirsi controllo delle specie in eccesso.
Come se non bastasse, sono allo studio e alla sperimentazione (ma a questo punto l LAV tace?) altri vaccini, a base di ormoni, come il GonaCon e il PZP che sterilizzano gli animali (secondo la Massei, il GonaCon-KLH sterilizza il 92% degli animali nei 4-6 anni successivi alla somministrazione) da iniettare con siringhe sparate da apposite carabine. Non la caccia, dunque, ma gli animalisti finiranno i cinghiali. Fine di un problema, forse, ma anche di una risorsa. Nel frattempo però gli animali continueranno a vivere, defecheranno, si abbevereranno, saranno oggetto di caccia e quindi cibo per l’uomo e per le altre specie. E quali saranno gli effetti secondari indesiderati per l’uomo e gli altri selvatici presenti nell’ambiente?
Dopo che la chimica ha avvelenato le nostra campagne per produrre sempre di più, adesso infetterà anche le specie selvatiche delle quali ci nutriamo e anche l’uomo. Dobbiamo reagire. Non sarebbe male che qualche Procura aprisse un fascicolo, che i NAS dei Carabinieri intervenissero, magari in seguito ad un esposto delle Associazioni venatorie che finora stanno a guardare, come sempre, per intervenire magari a cosa fatte. Propongo un’action class del popolo del cacciatori prima che sia troppo tardi. Il direttore del Parco della Maremma indica una data : il 2016. La stessa Massei in un suo articolo su Gazzetta Ambiente esprime ancora qualche perplessità sui contraccettivi attualmente disponibili in commercio o di quelli ampliamente sperimentati su animali, nessuno dei quali possiede TUTTE le caratteristiche di un “contraccettivo ideale” dal punto di vista degli effetti sui singoli animali e sull’ambiente. Quindi abbiamo ancora un po’ di tempo per organizzare una risposta, non più ideale, ma legale o addirittura giudiziaria. Io ho solo la forza delle idee. Le associazioni hanno la forza dei numeri e dei loro avvocati. Vi chiamo per nome: Dall’Olio, Cardia, Veneziano, Castellani, Sparvoli. Trent’anni fa l’UNAVI avrebbe fatto qualche cosa.